Morte di Andrea Prospero, arrestato 18enne: l’ultima chat e la spinta al suicidio
Articolo Precedente
Articolo Successivo
Andrea Prospero, 19 anni, studente universitario di informatica a Perugia, è stato trovato senza vita il 29 gennaio scorso in una stanza del centro storico della città. La sua morte, inizialmente apparentemente inspiegabile, ha assunto contorni più definiti con l’arresto di un 18enne della provincia di Roma, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di istigazione o aiuto al suicidio. Le indagini, ancora in corso, hanno portato alla luce una serie di messaggi e chat in cui il giovane avrebbe spinto Andrea a compiere il gesto estremo. “Ce la puoi fare, vai, ammazzati”, sarebbero state alcune delle parole usate, secondo quanto emerso dalle conversazioni digitali.
Andrea, che aveva acquistato una treccia di canapa lunga sette metri e realizzato un nodo scorsoio, sembrava essere stato sopraffatto da un mal di vivere che nessuno aveva saputo cogliere. I genitori, Michele e Teresa, insieme ai fratelli Anna e Matteo, sono convinti che il figlio non abbia agito di sua spontanea volontà. Nell’ultima videochiamata, avvenuta presumibilmente poche ore prima della morte, nulla lasciava presagire un gesto così estremo. “Mio figlio è stato ucciso, con lui c’era qualcuno”, ha dichiarato Michele Prospero, sottolineando come Andrea non avesse mai mostrato segni evidenti di un disagio così profondo.
Il giovane arrestato, coetaneo di Andrea, non lo aveva mai incontrato di persona. I due si conoscevano solo attraverso chat online, dove condividevano piccole truffe informatiche. Invece di offrire supporto o cercare aiuto, il 18enne avrebbe alimentato le insicurezze di Andrea, spingendolo verso un baratro che sembrava già pronto a inghiottirlo. Le autorità stanno ora ricostruendo l’intera dinamica dei fatti, analizzando i dispositivi elettronici di entrambi per comprendere fino a che punto le parole dell’indagato abbiano influito sulla decisione di Andrea.
Il caso ha riacceso il dibattito sulla fragilità di molti giovani, che spesso cercano risposte nel web anziché rivolgersi a figure di riferimento. Secondo esperti come Vicari e Lancini, il fenomeno è sintomo di un disagio più ampio, in cui disturbi non curati e vulnerabilità psicologiche si intrecciano con l’incapacità degli adulti di affrontare il dolore dei propri figli. Andrea, come molti altri, sembrava aver trovato nel digitale un rifugio, ma anche una trappola.