Ucraina, il disastroso corto circuito della frustrazione dei potenti
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La strage di Sumy ha provocato una giusta indignazione: chi vuole davvero la pace? Tutti condannano la Russia ,salvo gli Usa. Putin sembra voler colpire i civili come vendetta per non essere riuscito ad occupare l’Ucraina che continua a resistergli. La frustrazione delle grandi potenze è la cosa più pericolosa e porta il mondo al caos. La Russia vorrebbe tornare ad essere l’Urss ma non può; gli Stati Uniti vorrebbero tornare ad essere i primi indiscussi ma sono sfidati e la globalizzazione gli è sfuggita di mano; la Cina vorrebbe essere condomino ma Washington non gli concede tale onore. (Domani)
Su altre testate
– In un articolo che dettaglia come l’amministrazione Trump stia avendo crescenti difficoltà a negoziare un cessate il fuoco per l’Ucraina, The Economist riferisce che “diversi funzionari (americani) si dicono stancati degli sforzi unilaterali dell’Europa per rafforzare militarmente e finanziariamente l’Ucraina. (Askanews)
Per parte loro, gli Stati Uniti hanno mollato il colpo e adesso apertamente ammettono la possibilità di sfilarsi completamente dal conflitto: hanno capito benissimo di non poter sconfiggere la Russia di Putin e provano adesso a volgere a proprio vantaggio la situazione, seguendo la via della diplomazia e della pace. (Il Giornale d'Italia)
Di Riccardo Renzi – (Notizie Geopolitiche)
La metà di aprile è ormai passata e la situazione in Ucraina, per il momento, è rimasta inalterata. Gli sforzi diplomatici per porre fine alla guerra, spinti dalla promessa di Donald Trump di far terminare il conflitto in trenta giorni, si sono arenati e la Russia continua la sua offensiva e guadagna progressivamente nuovi territori. (il Giornale)
Ovvero una Pasqua senza bombe, senza sirene d'allarme, senza droni che colpiscono schiantandosi al suolo. Ma neppure la tregua annunciata da Vladimir Putin ha fermato le ostilità sui fronti dell'Ucraina: centinaia di attacchi, anche nel giorno di festa (sopra, nella foto di Evgeniy Maloletka per l'Ap, una chiesa distrutta nel villaggio di Lukashivka, nel Donetsk). (Corriere della Sera)
I tredici punti degli accordi di Minsk, divisi sostanzialmente in un capitolo militare e in uno politico, si sono trasformati in carta straccia perché la Russia ha continuato a premere sulla linea di contatto; perché l’Ucraina, prima con Poroshenko e poi con Zelensky dal 2019, non ha adempiuto alle misure previste di decentralizzazione e autonomia nei confronti degli oblast indipendentisti; perché Francia, Germania e Unione Europea hanno mancato nel far pressione costante su Mosca e Kiev per il rispetto dei patti; e infine perché appunto gli USA, da Obama a Biden, passando per il primo mandato di Trump, hanno perseguito in primo luogo propri interessi, alimentando la proxy war, la guerra per procura, anziché tentare di evitare la catastrofe. (RSI Radiotelevisione svizzera)