La lunga epopea di «The brutalist» (con finale a Venezia): il capolavoro mancato di Corbet
Articolo Precedente
Articolo Successivo
La vita di László Tóth (un Adrien Brody che prenota la Coppa Volpi) è una catena di costrizioni che non si rompe con la fuga dal lager per arrivare alla terra promessa, l'America della fine degli anni Quaranta dove non ancora tutto è possibile. L'epopea dell'architetto brutalista allievo del Bauhaus che cade senza scarpe dentro un sogno americano rabberciato e ne prova sulla propria pelle solo le schegge che gli riaprono le ferite del campo di concentramento, è per Corbet e per sua moglie Mona Fastvold che co-sceneggia e co-produce il film, un corpo a corpo con un attore che sa cos'è il dolore e che ha inciso nel volto la memoria del passato. (Corriere della Sera)
Su altri giornali
A Venezia 81 è già un caso, con caccia al biglietto, The Brutalist di Brady Corbet, 215 minuti di intensità. Per capirci, in poche righe: l’architetto László Toth nel ‘47 arriva in America dove sarà raggiunto dalla moglie Erzsébet e dalla nipote, che è voce narrante a inizio e fine film, prima da un campo di concentramento e infine dalla prima Biennale architettura del 1980. (Elle)
CARRARA – Carrara va a Venezia e ci va sulle ali del suo bianco marmo apuano. Non solo Brad Pitt e George Clooney o Tim Burton e Monica Bellucci o ancora Peter Weir ed Ethan Hawke: c’è un film al Festival cinematografico di Venezia che ha già conquistato parte della critica. (La Voce Apuana)
Brady Corbet è riuscito a fare una cosa rara: un grande film in cui l’architettura è al centro e come protagonista c’è un architetto, interpretato da Adrien Brody, una figura ispirata a Breuer, Kahn e Rudolph. (Domus IT)
In seguito alla visione di The Brutalist, opera terza di Brady Corbet, si è verificato un fatto assai strano nella redazione di CineFacts.it. #articoli (CineFacts)
Tredici minuti di standing ovation, un entusiasmo che Marcus Jones di IndieWire ha descritto così: «Era come se il pubblico avesse deciso di far durare l’applauso 215 minuti, tanto quanto il film». (Rivista Studio)
La sua lunghezza, di circa 3 ore e mezza, è però funzionale allo sviluppo della vicenda, che riporta decenni di vita di un architetto ungherese, personaggio di finzione, sopravvissuto all'Olocausto. (Radio Italia)