La Davis e la Serie A premiano coraggio e meritocrazia
Oggi i cannibali siamo noi, ed è emblematico che gli azzurri siano andati a conquistare consecutivamente la seconda e la terza insalatiera della loro storia (la prima risaliva al 1976) a Malaga, proprio in casa di quella Spagna che l’anno scorso manco c’era, e quest’anno non è riuscita a nascondere i propri limiti dietro il crepuscolare, malinconico Nadal e dietro Alcaraz che è sì un fenomeno nei picchi, ma di Sinner non ha né la continuità di rendimento, né la capacità di fare squadra. (L'Eco di Bergamo)
La notizia riportata su altri giornali
Le parole dell'allenatore della nazionale olandese suonano provocatorie: "Gli italiani hanno giocato molto bene. La frecciata di Haaruis (Tuttosport)
E alziamo al cielo la prezi... Per il secondo anno di fila siamo in vetta al mondo del tennis. (La Verità)
12:40 - Il record del tennis italiano Berrettini: "Giocare in Davis è diverso: dopo il set perso la squadra mi ha aiutato" (Eurosport IT)
Termina con il successo in Coppa Davis la stagione strepitosa di Jannik Sinner, che in conferenza stampa racconta come i tanti successi non cambiano l’emozione per un momento tanto importante come quello del match point Foto di Brigitte Grassotti (TennisItaliano.it)
La superiorità, sembra quasi offensivo dire la facilità, con cui l’Italia di Sinner e Berrettini ha vinto a Malaga la seconda Coppa Davis consecutiva, la terza di sempre contando quella leggendaria del 1976, lascia increduli i tanti appassionati di tennis, nemmeno così vecchi, che nel 2003 dopo la sconfitta con lo Zimbabwe di Wayne Black e Ullyett videro la retrocessione degli azzurri nel Gruppo II, cioè la Serie C del tennis. (Guerin Sportivo)
(copertina) Lorenzo Carnero / Cordonpress È la Coppa Davis di Matteo Berrettini, capo-ultrà a bordo campo, con la manica tirata su a mostrare il tatuaggio della rosa dei venti, o di una spada che infila un cuore da guappo di Notre-Dame de Fleurs, fare un tifo esaltato, entusiasta anche solo di essere lì; la felicità di chi forse credeva che non ce l’avrebbe fatta, a giocare ancora sfide sportive con quel peso: sentirsi importante, poter scrivere la storia. (L'Ultimo Uomo)