Uccisa a mani nude con una violenza inaudita: arrestato il marito di Emanuela Massicci

Approfondimenti:
Violenza sulle donne

Emanuela Massicci sarebbe stata uccisa a mani nude dal marito Massimo Malavolta, che l'avrebbe ammazzata massacrandola di botte con una violenza inaudita, secondo quanto emerso dall'autopsia che ha evidenziato fratture in tutto il corpo e segni di difesa sulle mani La maestra 45enne è morta tra atroci sofferenze mentre i figlioletti dormivano nella stanza accanto la notte del 19 dicembre a Ripaberarda, frazione di Castignano, in provincia di Ascoli Piceno (Sardegna Live)

Ne parlano anche altri giornali

I segni c'erano. E del perché, secondo lei, non ha mai detto niente. (leggo.it)

Manuela, maestra di 45 anni, è morta a causa delle percosse che le ha inferto il marito, Massimo Malavolta di 48 anni. (il Resto del Carlino)

È questo il primo dato emerso dagli accertamenti medico legali preliminari sul corpo di Emanuela Massicci, la quarantacinquenne ammazzata a botte dal marito nella notte fra il 18 e il 19 dicembre a Ripaberarda, nei pressi di Ascoli Piceno (la Repubblica)

Femminicidio nell'Ascolano, l’emorragia per lesioni da aggressione. L’allarme dato dopo ore

Gli ometti li voglio tutti per me”. L'omicidio di Ripaberarda di Castignano (Ascoli), Massimo Malavolta (nel riquadro) ha ucciso di botte la moglie Emanuela Massicci e ha poi tentato di togliersi la vitaMissing Credit Massimo Malavolta resta ricoverato all'ospedale Mazzoni di Ascoli dopo aver tentato il suicidio. (il Resto del Carlino)

I primi risultati degli esami sul corpo della donna non lasciano dubbi: la causa della morte è da attribuire alla violenza dei colpi inflitti. Pare, inoltre, che la vittima fosse morta da circa sette ore quando Malavolta ha chiamato la madre, alle 5:30 del mattino, per lanciare un allarme tardivo che non avrebbe comunque potuto salvarla. (VeraTV News)

Secondo quanto trapela, il decesso sarebbe stato causato dalla perdita di sangue dovuta a fratture e traumi, che hanno provocato un'agonia prolungata. (La Stampa)