Danilo Dolci, pagine da interrogare

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Morti sul lavoro

Danilo Dolci poeta, sociologo, attivista della nonviolenza ed educatore, ha dedicato la vita all’impegno politico e sociale. La sua lunga ricerca giunge dopo analisi e denunce dei mali del suo tempo, a consegnare al futuro uno «strumento» capace di far dialogare culture diverse, a dare forza e potere alle nuove generazioni, autonomia di giudizio a ciascuno; uno «strumento» che educa alla convivenza pacifica, all’ascolto, alla comunicazione e alimenta negli studenti la curiosità epistemica favorendo l’apprendimento, perché la conoscenza aiuta ad essere liberi, oggi più che mai, dove ciascuno deve essere paralizzato nel suo essere vivente, per poter agire unicamente come schiavo dei consumi seduto davanti ad un computer. (il manifesto)

Su altri giornali

Il 28 giugno di 100 anni fa, a Sesana, oggi in Slovenia ma allora in provincia di Trieste, nasceva Danilo Dolci. Riconosceva tanta sapienza nei contadini, nel potatore, nel pescatore, quando li sentiva parlare per lui quella era già poesia”. (Il Fatto Quotidiano)

Palermo antica in una rivista nazionale Personaggio scomodo, fuori dagli schemi, lo ricordiamo a 100 anni dalla nascita. Con il suo lavoro porta alla luce il dramma di uno dei quartieri più poveri (Balarm.it)

Paolo Benvenuti, il regista che ha fatto della storia una materia incandescente per indagarne le zone oscure e renderla parte del presente (Il Bacio di Giuda, Confortorio, Gostanza da Libbiano, Tiburzi fino a Puccini e la fanciulla), racconta la sua collaborazione con Danilo Dolci, la scoperta del suo particolare metodo pedagogico maieutico, che metterà in pratica nella sua scuola di cinema Intolerance, nei corsi alla scuola Holden e al Centro Sperimentale e all’Università di Firenze. (il manifesto)

“Processo all’articolo 4”: attualità di Danilo Dolci

L’opera, grande 4 metri e 30 centimetri per 2,70, è stata realizzata in acrilico e olio e trattata con della resina per resistere alle intemperie climatiche. (PartinicoLive)

Quando nel gennaio del 1952 i pescatori di Trappeto, villaggio nel golfo di Castellammare non lontano da Partinico, tra Trapani e Palermo, videro arrivare un uomo alto e robusto che veniva dal Nord, parlava in italiano e diceva di voler stare con loro per comprenderne le condizioni, vivere da “fratelli” e dare una mano, e rispondeva al nome di Danilo Dolci, lo riconobbero come il ragazzo figlio del capostazione che aveva passato lì qualche estate di oltre dieci anni prima, ma non compresero subito che cosa fosse venuto a fare in quel posto senza strade ne fognature, dove dilagava la miseria assoluta che Carlo Levi racconterà ne Le parole sono pietre. (Il Fatto Quotidiano)

Che cosa resta di Danilo Dolci nell’epoca degli “aperitivi” culturali, della discussione intellettuale ridotta alla dimensione spettacolare dei festival o al virtuosismo specialistico dell’accademia o, peggio ancora, alle “pillole” dei talk show? Niente o, forse, al contrario, tutto. (La Fionda)