Lo "strappo" di Meloni a Bruxelles e la partita che non è ancora chiusa

È bella la sensazione, per quanto illusoria, di ringiovanire con la cronaca, specialmente quella politica, che è alquanto accidentata. Lo “strappo”, per esempio, evocato nel suo titolo di apertura della Stampa riferendo del Consiglio Europeo - a proposito dell’astensione di Giorgia Meloni sulla designazione della pur ormai amica tedesca Ursula von der Leyen per la conferma a presidente della Commissione e del no opposto al socialista portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio e alla liberale estone Kaja Kallas ad Alto Commissario per la politica estera e la sicurezza dell’Unione - mi ha portato indietro di una cinquantina di anni. (Il Dubbio)

Su altri giornali

A Palazzo Chigi fanno professione di fede, provando a scongiurare lo scenario peggiore. (Il Fatto Quotidiano)

La terza: restiamo la destra presentabile, realmente conservatrice, non nostalgica, della Ue. Certo, ammettono subito dopo, con il neo del Pis polacco, ma su questo punto il bicchiere si può vedere anche mezzo pieno. (Corriere della Sera)

Partiamo dal governo. C’è stata un po’ di ingenerosità nei confronti di Meloni nel dire che a Bruxelles ha privilegiato il ruolo di presidente dei Conservatori europei rispetto a quello di presidente del Consiglio italiano. (L'HuffPost)

La partita di Meloni sulle nomine delle alte cariche europee

L’ambiguità rischiosa di Meloni in Europa: un po’ con il Palazzo, un po’ con le destre Giovanni Orsina (La Stampa)

L’aveva già fatto allorché si trattava di riconoscere la Palestina come Stato, ricordate? Ebbene, anche in quel contesto Giorgia Meloni si era astenuta. (Radio Radio)

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