Mani legate e teste mozzate, la fossa comune degli operatori umanitari uccisi dall’Idf a Rafah
Articolo Precedente
Articolo Successivo
Erano partiti a sirene spiegate, diretti verso una zona bombardata, quando sono stati intercettati e uccisi. I loro corpi, gettati in una fossa comune insieme alle ambulanze, sono stati ritrovati ad Al Hashashin, alla periferia di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Quindici operatori umanitari, tra cui paramedici e soccorritori, giustiziati con le mani legate e in alcuni casi decapitati, in quello che appare come un tentativo maldestro di occultare un massacro. Le autorità israeliane non hanno ancora fornito spiegazioni ufficiali, ma le immagini dei corpi riesumati parlano da sole.
L’episodio, che risale a pochi giorni fa, si inserisce in un contesto già segnato da violenze indiscriminate. Mentre Netanyahu ribadisce l’obiettivo di "ripulire Gaza dalle infrastrutture terroristiche", i bombardamenti continuano a mietere vittime tra i civili e, sempre più spesso, tra chi cerca di prestare soccorso. La Germania ha chiesto un’indagine approfondita, definendo "scioccante" l’attacco agli operatori, mentre il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha ricordato come Gaza sia ormai il luogo più pericoloso al mondo per gli umanitari, con oltre 400 morti dall’inizio del conflitto.
Quello di Al Hashashin non è un caso isolato. Già in passato erano emerse denunce contro l’esercito israeliano per l’uso indiscriminato della forza contro medici e soccorritori, ma questa volta le circostanze sono particolarmente agghiaccianti. Le modalità dell’esecuzione, con i corpi mutilati e sepolti frettolosamente, lasciano pochi dubbi sulla volontà di cancellare le prove. Eppure, nonostante le pressioni internazionali, Tel Aviv non ha ancora aperto un’inchiesta.