Prove di disgelo tra Cina e Usa, ma l’Ue è divisa sul piano di riarmo
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Mentre i mercati reagiscono con ottimismo alla possibilità di un alleggerimento dei dazi tra Stati Uniti e Cina, l’Unione Europea si ritrova impantanata in una disputa istituzionale sul piano di riarmo voluto da Ursula von der Leyen. Se da un lato Pechino e Washington sembrano aver attenuato i toni dopo settimane di tensioni, dall’altro Bruxelles deve fare i conti con il malcontento del Parlamento europeo, che ha bocciato la procedura d’urgenza scelta dalla Commissione per approvare lo strumento Safe, il maxi-piano da 150 miliardi di eurobond destinati al potenziamento dell’industria della difesa.
Le trattative tra Cina e Stati Uniti, seppur ancora lontane da una soluzione definitiva, lasciano intravedere margini di accordo. Donald Trump, pur mantenendo un atteggiamento marcatamente difensivo, ha lasciato intendere che un compromesso è possibile, anche se alcune categorie di prodotti – in particolare quelli strategici – potrebbero essere colpite da tariffe fino al 100%. Intanto, i mercati hanno accolto con favore le dichiarazioni della presidente della Bce, Christine Lagarde, che pur avendo rivisto al ribasso le stime di crescita, ha contribuito a rasserenare gli investitori.
Ma se sul fronte commerciale si respira un’aria diversa, in Europa la tensione politica sale. La Commissione, servendosi dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue, ha deciso di bypassare l’Europarlamento per accelerare l’iter di approvazione del piano ReArm Eu, scatenando le proteste degli eurodeputati. La commissione Affari Giuridici (Juri), in una seduta a porte chiuse, ha definito «improprio» il ricorso a questa procedura, accusando von der Leyen di voler «scavalcare» il ruolo dell’assemblea legislativa.
Nonostante le critiche, la presidente della Commissione ha ribadito che il provvedimento verrà sottoposto solo al Consiglio Ue, composto dai rappresentanti dei governi nazionali, senza passare per il voto della Plenaria di Strasburgo. Una mossa che rischia di inasprire ulteriormente i rapporti tra le istituzioni europee, già tese per via delle divergenze sulle politiche di difesa comune.