Lo stivale calcia ancora: il menare italiano di La città proibita
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Il cinema italiano, spesso accusato di ripiegarsi su se stesso, prova a sorprendere con un colpo di reni inatteso. Gabriele Mainetti, regista già noto per aver rinvigorito il panorama cinematografico con opere come Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, torna con La città proibita, un film che osa misurarsi con un genere quasi sconosciuto nel nostro Paese: le arti marziali. Un’impresa non da poco, considerando che in Italia i film di questo tipo si contano sulle dita di una mano, spesso realizzati con budget risicati e destinati a scomparire nel mare magnum della distribuzione senza lasciare traccia.
Presentato in anteprima al cinema Barberini di Roma, il film ha riunito un parterre di volti noti, tra cui i protagonisti Sabrina Ferilli e Marco Giallini, oltre a una schiera di colleghi e amici del regista. La serata, come spesso accade, è stata anche un’occasione per sfoggiare look ricercati: Sabrina Ferilli in total black ha conquistato un discreto 7, mentre Claudio Borghi e Irene Forti, più curati nei dettagli, si sono aggiudicati un 7,5. Meno convincenti Luca Marinelli e Alissa Jung, che hanno totalizzato un 6, mentre Mainetti, impeccabile, si è aggiudicato un 8,5.
Ma al di là delle passerelle, ciò che conta è il film. La città proibita rappresenta un ulteriore passo nella carriera di Mainetti, che dopo aver esplorato il supereroe italiano e il fantasy storico, si cimenta con un’opera che mescola azione, dramma e arti marziali, ambientandola in una Roma insolita e suggestiva. Al centro della storia c’è Mei, interpretata da Yaxi Liu, stuntwoman ed esordiente assoluta che, grazie a un ruolo complesso e fisicamente impegnativo, potrebbe rivelarsi la vera rivelazione del film.
La trama, che intreccia amore e combattimenti, promette di portare lo spettatore in un viaggio tra Oriente e Occidente, tra le strade della capitale e i misteri delle arti marziali. Mainetti, che non ha mai nascosto la sua passione per i generi popolari, dimostra ancora una volta di saperli reinventare con uno sguardo personale, senza rinunciare a un’estetica curata e a una narrazione solida.