Contaminazione da pesticidi: la coda chimica delle mele della val Venosta
Le procedure autorizzative UE analizzano solo le singole sostanze e non tengono conto degli effetti che possono generare i cocktail di pesticidi. Uno studio condotto sull’intera val Venosta, dove si produce il 10% delle mele europee, dimostra che questi cocktail viaggiano per chilometri e raggiungono anche gli angoli più remoti Foto di Estúdio Bloom su Unsplash Lo studio sulla contaminazione da pesticidi rileva sempre la presenza di un mix di sostanze (Rinnovabili. (Rinnovabili)
Ne parlano anche altre fonti
Pesticidi nella coltivazione delle mele, lo studio: "Rilevati anche in alta quota". L'analisi in Val Venosta: "Nel suolo e nella vegetazione trovate diverse sostanze" È quanto ha rilevato uno studio dell'Università Kaiserslautern-Landau (RPTU) e dell'Università di Risorse Naturali e Scienze della Vita di Vienna (BOKU) che ha analizzato la situazione in Val Venosta, "la più grande area di coltivazione di mele d'Europa" (il Dolomiti)
La Val Venosta è la più grande regione dove si coltivano mele in Europa e qui, come è ormai tristemente noto, si fa un largo uso di pesticidi. Ora un nuovo studio, condotto dall’Università di Vienna in collaborazione con l’Università Kaiserslautern-Landau (RPTU), ha rivelato un dettaglio molto importante e preoccupante. (greenMe.it)
Dopo le roventi polemiche del passato, un nuovo studio scientifico sulla contaminazione da pesticidi nel terreno e nell’aria, causata dalla coltivazione intensiva delle mele, arriva come una bomba a terremotare l‘Alto Adige e in particolare la Val Venosta, area d’elezione della Provincia autonoma dove si produce quasi la metà del raccolto italiano. (Il Fatto Quotidiano)
A porre il problema non sono i gruppi ambientalisti ma due autorevoli università come la Rptu di Kaiserslautern e la Boku di Vienna che hanno appena pubblicato un corposo studio sulla val Venosta. «I residui dei pesticidi sono stati rinvenuti anche ad alta quota e persino nei parchi naturali che sono super protetti» spiega il professor Carsten Brühl dell’Università di Kaiserslautern. (Corriere del Trentino)
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La parola d’ordine sembra essere “promuovere la biodiversità funzionale come alternativa all’uso dei pesticidi”. Una possibile misura sarebbe una riduzione o addirittura un divieto dell’uso dei pesticidi, almeno delle sostanze rilevate in aree remote, concludono i ricercatori dai risultati del loro studio. (UnserTirol24)