Cospito e i dialoghi con i mafiosi al 41 bis, cosa c'è nei documenti citati da Donzelli e Delmastro

Alcuni dettagli sono stati diffusi dal quotidiano "La Repubblica". Nei documenti si parla del futuro dell’anarchico, detenuto nel carcere milanese di Opera, e sono contenuti anche alcuni segreti legati ai detenuti più pericolosi del nostro Paese. Oltre a possibili notizie di reato Mentre la procura di Roma indagherà per capire se l'intervento in aula dell'onorevole Giovanni Donzelli sul caso Cospito, che ha citato documenti divulgati dal sottosegretario Delmastro , possa costituire un reato oppure solamente una violazione delle norme che regolamentano i rapporti tra Stato, Parlamento, circuito carcerario e procure antimafia, emergono alcuni dettagli sul contenuto degli stessi documenti. (Sky Tg24 )

Ne parlano anche altre fonti

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Quelle notizie infatti - scrive Capezzone - si potevano leggere in modo circostanziato sull'edizione online del quotidiano Domani del 31 gennaio e circolavano (Secolo d'Italia)

Non si possono usare gli atti intimidatori come un alibi", scriveva il 30 gennaio. "È urgente trasferire Cospito e revocare il 41-bis. (Il Fatto Quotidiano)

I casalesi Michele e Vincenzo Zagaria, il romano Salvatore Casamonica, il palermitano Salvatore Madonia e lo spietato killer corleonese Leoluca Bagarella. Solo quattro sarebbero però i nomi contenuti nella relazione fornita dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria all'ufficio di gabinetto del ministero della Giustizia e al sottosegretario con delega alle carceri Andrea Delmastro: oltre a Cospito, le persone citate sarebbero Pietro Rampulla, Pino Cammarata, Francesco Di Maio e Francesco Presta. (L'Unione Sarda.it)

“Fuori Alfredo Cospito dal 41bis”, e poi la A inscritta in un cerchio, il simbolo degli anarchici: all’inizio era qualche scritta sparuta su muri di città, oggi è uno slogan, una richiesta politica espressa sempre più forte, con toni sempre più gravi. (LifeGate)

«Rinunciare al 41 bis otto la pressione di gruppi, di esponenti o di singoli, rappresenterebbe un segno di debolezza dello Stato». (L'Espresso)