Iran, ancora fiamme a Bandar Abbas: salgono a 40 le vittime, ma il bilancio è provvisorio
Articolo Precedente
Articolo Successivo
L’incendio divampato sabato scorso nel porto di Shahid Rajaee, a Bandar Abbas, non è ancora stato domato. Le fiamme, alimentate da tre focolai distinti – nei magazzini Sina e Onik e nell’area dei container – continuano a consumare ciò che resta delle strutture, mentre una nube tossica si espande sulla città. Il bilancio, già gravissimo, è destinato a peggiorare: le autorità locali confermano almeno 40 morti e oltre mille feriti, numeri che potrebbero crescere man mano che i soccorsi setacceranno le macerie.
L’esplosione, avvenuta nella mattinata del 26 aprile, è stata catturata dalle telecamere di sorveglianza: le immagini mostrano un boato improvviso, seguito da una colonna di fuoco che ha costretto gli operatori portuali a una fuga disperata. La violenza del detonazione, unita alla simultaneità dei focolai, ha fatto rapidamente tramontare l’ipotesi di un incidente industriale, anche se le autorità iraniane insistono nel negare la presenza di materiali militari nell’area.
La tempistica, del resto, non passa inosservata. Poche ore prima, a Muscat, erano ripresi i colloqui tra Stati Uniti e Iran sul controverso programma nucleare di Teheran, mentre fonti israeliane – interpellate da alcuni media internazionali – hanno smentito qualsiasi coinvolgimento. Ma è difficile ignorare il contesto: Bandar Abbas non è solo un terminale commerciale, bensì un nodo strategico all’imbocco del Golfo di Hormuz, da tempo al centro di tensioni geopolitiche.
Il presidente Masoud Pezeshkian, definito dai più come "riformista", ha sorvolato la zona colpita, visitando i feriti e promettendo sostegno alle famiglie. Tuttavia, ha evitato di commentare le voci – riportate da alcuni giornali esteri – secondo cui nel porto sarebbero state stoccate sostanze chimiche d’importazione cinese, utilizzabili per la produzione di propellente missilistico. Intanto, la premio Nobel per la pace Narges Mohammadi ha accusato gli ayatollah di "irresponsabilità", denunciando la mancanza di misure di sicurezza adeguate.