Vance in Vaticano per l’incontro con Parolin, tra impegni istituzionali e "vacanze romane"

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INTERNO

J.D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, ha varcato i cancelli del Vaticano poco prima delle 10 di questa mattina, puntuale come da protocollo, per un incontro ufficiale con il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri della Santa Sede. L’agenda non prevede, almeno per ora, un faccia a faccia con Papa Francesco, ancora convalescente dopo i recenti problemi di salute, sebbene il Pontefice abbia ripreso a mostrarsi in pubblico in più occasioni.

La visita di Vance – convertitosi al cattolicesimo nel 2019 – si inserisce in un soggiorno romano che unisce doveri istituzionali e momenti privati con la famiglia. Già ieri, dopo l’incontro a Palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni, il vicepresidente e la moglie Usha, accompagnati dai loro tre figli, hanno preso parte alle celebrazioni del Venerdì Santo nella Basilica di San Pietro. Una serata trascorsa poi tra le mura di Castel Sant’Angelo, visitato in forma privata, e una cena nel cuore della capitale, mentre oggi la "second family" americana ha in programma un tour tra i monumenti simbolo della città, dal Colosseo al Pantheon.

«Stamattina giravo in macchina tra le strade di Roma con mia moglie e i miei figli», aveva raccontato Vance dopo il colloquio con Meloni, lasciando trapelare un’ammirazione genuina per la Città Eterna. Un tono informale, lontano dai formalismi diplomatici, che ha caratterizzato anche questa tappa vaticana, dove gli equilibri geopolitici si intrecciano alla dimensione personale di un uomo che, negli ultimi anni, ha legato sempre più la sua identità pubblica alla fede cattolica.

L’assenza del Papa dall’agenda ufficiale non smorza il significato del dialogo tra Santa Sede e Stati Uniti, che tocca temi spinosi, dalle guerre in corso alle migrazioni, passando per le tensioni internazionali. Parolin, da tempo al centro della diplomazia vaticana, rappresenta un interlocutore chiave per Washington, soprattutto in un momento in cui la politica estera americana cerca mediazioni complesse. Vance, dal canto suo, porta avanti un ruolo che – al di là dei protocolli – sembra voler conciliare la rigidità delle relazioni istituzionali con un’immagine più familiare e accessibile.