Non solo sui meleti, i pesticidi contaminano tutta la Val Venosta (cime delle montagne comprese)
Un recente studio ha scoperto che i pesticidi diffusi in Val Venosta non contaminano solo i meleti dove vengono utilizzati ma arrivano anche in zone molto più lontane, persino sulle cime delle montagne, con gravi rischi per l'ecosistema e la biodiversità La Val Venosta è la più grande regione dove si coltivano mele in Europa e qui, come è ormai tristemente noto, si fa un largo uso di pesticidi. Ora un nuovo studio, condotto dall’Università di Vienna in collaborazione con l’Università Kaiserslautern-Landau (RPTU), ha rivelato un dettaglio molto importante e preoccupante. (greenMe.it)
Ne parlano anche altri media
L’agricoltura altoatesina finisce di nuovo sul banco degli imputati per il massiccio uso di pesticidi. «I residui dei pesticidi sono stati rinvenuti anche ad alta quota e persino nei parchi naturali che sono super protetti» spiega il professor Carsten Brühl dell’Università di Kaiserslautern. (Corriere del Trentino)
La parola d’ordine sembra essere “promuovere la biodiversità funzionale come alternativa all’uso dei pesticidi”. In cambio, è importante promuovere pratiche di gestione che favoriscano anche le benefiche interazioni insetti-parassiti, la cosiddetta biodiversità funzionale nel meleto e nell’area circostante. (UnserTirol24)
(Rinnovabili. Foto di Estúdio Bloom su Unsplash (Rinnovabili)
È quanto ha rilevato uno studio dell'Università Kaiserslautern-Landau (RPTU) e dell'Università di Risorse Naturali e Scienze della Vita di Vienna (BOKU) che ha analizzato la situazione in Val Venosta, "la più grande area di coltivazione di mele d'Europa" Pesticidi nella coltivazione delle mele, lo studio: "Rilevati anche in alta quota". (il Dolomiti)
MeteoWeb (MeteoWeb)
A differenza di quanto accaduto nei mesi scorsi, quando una analoga ricerca tedesca finì letteralmente sul banco degli imputati in un processo per diffamazione, questa volta l’analisi realizzata da un pool di ricercatori dell’Istituto di scienze ambientali dell’Università tedesca di Kaiserslautern-Landau è stata pubblicata addirittura dalla prestigiosa rivista internazionale Nature. (Il Fatto Quotidiano)