Alla mostra del cinema di Venezia finalmente si respira a pieni polmoni con Green Border
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Finalmente a Venezia si respira a pieni polmoni, un soffio etico che era necessario in un’edizione quest’anno particolarmente asfittica. A parte qualche ottima eccezione – Poor things di Lanthimos su tutti, ma anche Evil does not Exist di Hamaguchi e Dogman di Luc Besson – i film del concorso mancano di aria: come se il cinema non sapesse più raccontare in sintonia con la realtà, ma dovesse rivolgersi solo a se stesso, ai generi più battuti e perciò in certo senso autoreferenziali, l’horror, il fantasy, il biopic (Il Fatto Quotidiano)
Ne parlano anche altri giornali
Impossibile rimanere indifferenti di fronte all’odissea umanitaria e disumana narrata in bianco e nero, perché oggi è questo il tono del mondo, dalla regista polacca Agnieszka Holland in Green border, in concorso: tempi che non si lasciano corrodere dalla fretta del box office, macchina da presa a ridosso dei corpi in fuga nel bosco di Hansel e Gretel, l’oscura foresta che fa da confine tra Bielorussia e Polonia, terra di nessuno dove sopravvivono, muoiono, vengono torturati i migranti provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, in attesa di rifugio politico. (Elle)
Dalla prospettiva italiana, l’emergenza migranti è soprattutto una questione di mare: la tratta Mediterranea, i suoi morti e i suoi orrori sono un tema politico e sociale all’ordine del giorno, esplorato qui alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 da Matteo Garrone e il suo Io Capitano. (Best Movie)
Oltre che con Matteo Garrone ne "Io Capitano, il tema dei migranti arriva in Concorso a Venezia anche grazie alla regista polacca Agnieszka Holland che in "Green Border" (Il confine verde) racconta in bianco e nero il dramma umano di chi dal Medio Oriente e dall'Africa tenta di raggiungere l'Europa attraverso il confine tra Bielorussia e Polonia, finendo per diventare quasi "pedina" di un gioco politico tra promesse di ingressi facili e respingimenti dei due paesi. (Libero Tv )
Siamo al confine tra Bielorussia e Polonia, nel pieno della crisi umanitaria, e la macchina da presa segue con un taglio quasi documentaristico un gruppo di profughi in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa che cerca di trovare riparo in Europa. (Il Cittadino)
O quantomeno un premio (Io Donna)
La regista polacca usa parole dure – anche se mai quanto le immagini del film dove chi, stremato e in cerca d’aiuto, viene calpestato, deriso, gettato dall’una e dall’altra parte del filo spinato. (Il Manifesto)