Quel ‘Je suis Charlie’ subito dimenticato. Parlarne dieci anni dopo racconta una sconfitta

In un vecchio saggio (ma poi mica tanto: è del 2018) di Luciano Canfora, La scopa di don Abbondio (Editori Laterza), il sottotitolo “il moto violento della storia” si adatta perfettamente alla data del 7 gennaio, ricorrenza di uno degli eventi più drammatici delle nostre cronache, quella del massacro di Charlie Hebdo, giusto dieci anni fa, il fatidico 2015, il momento in cui noi tutti percepimmo come certe forze politiche oscurantiste presero il sopravvento in Francia, ma anche in larga parte d’Europa e del mondo, gettandoci in un cupo fatalismo (che in certi Paesi, come l’Italia, si è tradotto nell’assenteismo elettorale). (Il Fatto Quotidiano)

La notizia riportata su altre testate

L'associazione dei vignettisti Cartooning for peace si chiede cosa è rimasto dello spirito di "Je suis Charlie": "Quanti di noi oggi scenderebbero in piazza per difendere il diritto alla satira?" (Il Fatto Quotidiano)

“La voglia di ridere è un aspetto della natura umana. Tutti hanno voglia e bisogno di ridere. Abbandonare la satira, significa abbandonare una parte di umanità”. Sono le parole con cui il direttore di Charlie Hebdo, Riss, intervistato ai microfoni di France Inter ha ricordato il decimo anniversario dell’attentato contro la sede del giornale satirico francese. (Primaonline)

Non c’è stato un radicamento profondo della convinzione che la … Ci siamo tutti proclamati coinvolti in prima persona, scrivendo #JeSuisCharlie sui social network, ma sul lungo periodo non abbiamo alzato un argine inscalfibile contro la minaccia che è stata lanciata. (L'HuffPost)

Intervista a Gipi. Charlie Hebdo, l’Islam, la libertà. E la paura (di N. Mirenzi)

Eppure oggi, a dieci anni di distanza, non si ode neppure più l'eco di quell'affermazione (il Giornale)

«Charlie Hebdo continua a esistere, ma è evidente che dopo il 2015 la libertà di espressione non gode di ottima salute», afferma il docente, sottolineando tre cause conseguenti agli attentati: «La prima sta nel fatto che alcuni disegnatori hanno paura di affrontare certi temi e per questo si autocensurano; poi c’è il fatto che molti giornali nel mondo si mostrano meno tolleranti nei confronti delle caricature e dei disegni ironici, come ad esempio il New York Times che ha deciso di non pubblicare più vignette politiche; infine si registra un calo di interesse nei confronti delle caricature». (Corriere del Ticino)

Riflettevo su queste parole a dieci anni dalla tragedia di Charlie Hebdo, 7 gennaio 2015, quando un commando di terroristi armati irruppe nella sede del settimanale satirico parigino, uccidendo dodici persone e ferendone altre quattro. (ROMA on line)