Influenza aviaria, i gatti sono più in pericolo dei cani. E ora i riflettori sono puntati sui topi

L'attuale epidemia di influenza aviaria sta prendendo pieghe inaspettate. Ha fatto molto preoccupare la scoperta del virus nel latte delle mucche infette, il che ha portato l'Oms a consigliare di non bere o utilizzare il latte crudo. Ora le ultime ricerche ci dicono che i gatti sono più soggetti al virus rispetto ai cani, ma anche che c'è un nuovo mammifero, storicamente considerato un serbatoio di patogeni, che questa nuova forma di aviaria sembra colpire. (La Stampa)

Ne parlano anche altre testate

Il virus H5N1, meglio noto come influenza aviaria, preoccupa il mondo scientifico, in particolare quello dei veterinari. Coleman e Ian G. (leggo.it)

Il virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza) A(H5N1) sta suscitando un certo allarme per diverse ragioni, fra cui lo spiccato neurotropismo, ossia la tendenza del virus a concentrarsi soprattutto all’interno del tessuto nervoso, e la sua conseguente capacità di causare danni neurologici in numerose specie di uccelli e di mammiferi sia domestici che selvatici. (Galileo)

"L'influenza aviaria H5N1 è una minaccia zoonotica globale che continua a destare preoccupazione per la salute pubblica. Lo sottolinea l'epidemiologo Massimo Ciccozzi, fra gli autori dello studio italiano "H5N1 bird flu: Tracking outbreaks with real-time epidemiological data", in pubblicazione su 'The Lancet Infectious Diseases'. (La Gazzetta del Mezzogiorno)

L'aviaria colpisce i gatti: il 67% non sopravvive, ecco perché. I rischi per l'uomo

Coleman e Ian G. Prima che l’influenza aviaria colpisse allevamenti di bovini da latte negli Usa innescando un’allerta anche nel resto del mondo, il virus H5N1 era stato già rilevato in alcuni mammiferi compresi i gatti. (Il Fatto Quotidiano)

Uno studio dell'Università del Maryland ha registrato un aumento di infezioni e decessi tra i felini domestici; attenzione al latte crudo e ai cibi in scatola ascolta articolo (Sky Tg24 )

Lo testimonia uno studio condotto da Kristen K. Coleman e Ian G. (la Repubblica)