Manovra, Fieg: amarezza per la web tax. Il Parlamento la corregga

La misura contenuta nel ddl Bilancio paradossalmente colpisce tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole a una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web (Milano Finanza)

Ne parlano anche altri media

In origine la web tax italiana, chiamata Digital Service Tax (o meglio Imposta sui Servizi Digitali), era nata con l’obiettivo di portare a tassazione una parte dei proventi realizzati in Italia da parte delle cosiddette Big tech, le multinazionali operanti su internet, le quali, grazie alle loro capacità di pianificazione fiscale, secondo buona parte dell’opinione pubblica, di solito non pagano una quantità sufficiente di imposte nei territori in cui i profitti sono effettivamente realizzati. (Fiscoetasse)

Una decisione che sta facendo tremare il mondo tecnologico italiano. Fino a oggi, solo i colossi del web come Google o Meta dovevano pagarla, ma da gennaio 2025 il governo vuole estenderla a tutte le aziende che offrono servizi su internet nel nostro paese, eliminando le attuali soglie di fatturato globale e locale. (WIRED Italia)

L'Articolo 4 del testo che definisce la Legge di Bilancio 2025 estende la Web Tax a qualsiasi impresa che si occupi di servizi digitali. (Fanpage.it)

Manovra, contro la nuova web tax “estesa” c’è la rivolta compatta del settore editoriale

SARONNO – ROMA La proposta inserita nella Legge di Bilancio 2025 intende ampliare la platea dei soggetti destinatari dell’imposta sui servizi digitali, cancellando il precedente limite quantitativo di 5,5 mil di euro di volume d’affari annuo. (Il Saronno)

«Una mazzata» per il settore dell’innovazione. Con il rischio di veder fuggire all’estero imprenditori e capitali. La manovra finanziaria punta a estendere la “web tax”, pari al 3% sul fatturato, ad ogni realtà che abbia ricavi derivanti da servizi digitali. (La Repubblica Firenze.it)

Finora dovevano pagarla … La web tax oggi dev’essere versata dalle grandi aziende tecnologiche e dalle piattaforme digitali italiane e straniere, come Facebook, Google o Airbnb. (Il Fatto Quotidiano)