Omicidio di Garlasco: Garofano conferma, "quel Dna non basta per accusare Sempio"

Articolo Precedente

precedente
Articolo Successivo

successivo
INTERNO

La riapertura delle indagini sul delitto di Chiara Poggi, la giovane uccisa il 13 agosto 2007 nella sua abitazione a Garlasco, in provincia di Pavia, si scontra con ostacoli significativi, a partire dalla distruzione di numerosi reperti. Tra questi, anche il pigiama rosa indossato dalla vittima al momento dell’omicidio, smaltito nel 2022 insieme ad altri oggetti sequestrati durante le prime indagini. Una pratica, questa, non insolita dopo una sentenza definitiva e trascorsi molti anni, spesso dettata da esigenze logistiche legate alla gestione degli spazi negli uffici dei corpi di reato.

Luciano Garofano, ex comandante del Ris di Parma e consulente della difesa di Andrea Sempio, l’unico imputato nel caso, ha ribadito la sua posizione in un’intervista a Repubblica. «Ero consulente per Sempio già nella prima indagine su di lui», ha dichiarato Garofano, aggiungendo che «le tracce di Dna trovate sotto le unghie della povera Chiara non erano idonee per un’identificazione personale». Secondo l’esperto, il materiale genetico rinvenuto non sarebbe sufficiente per confermare un legame diretto con Sempio, una tesi che aveva già sostenuto nel 2016 e che oggi ripropone senza variazioni. «Siccome le tracce sono sempre quelle, per quanto mi riguarda non è cambiato niente: come non erano idonee nel 2016 non sono idonee nel 2025», ha concluso.

La distruzione dei reperti, tra cui il pigiama e altri oggetti potenzialmente rilevanti, rappresenta un ulteriore intoppo per la nuova inchiesta. Fonti investigative hanno confermato che molti degli elementi raccolti all’epoca sono stati smaltiti, riducendo drasticamente la possibilità di condurre nuove analisi che potrebbero far luce su aspetti ancora oscuri del caso. Una situazione che rende ancor più complesso il lavoro dei magistrati, chiamati a ricostruire una vicenda che, dopo 18 anni, continua a dividere l’opinione pubblica e a sollevare interrogativi.

Il caso Garlasco, che aveva tenuto banco per anni sui media nazionali, era sembrato trovare una conclusione con la condanna di Sempio, poi annullata in Cassazione nel 2016. Da allora, il processo è stato riaperto più volte, senza che si giungesse a una sentenza definitiva. La nuova indagine, avviata su impulso della procura di Pavia, si muove in un contesto reso più complicato proprio dalla mancanza di alcuni reperti chiave, che avrebbero potuto offrire nuovi spunti di analisi.