Arte e Cultura
Filosofia della Soglia
Albert Camus sosteneva nel libro ” L’uomo in Rivolta” : C’è la bellezza e ci sono gli oppressi. La bellezza è pari alla libertà degli eguali. Se in questo contesto di bellezza della caducità posso dire con le mie tante malattie, che la vita è un attimo, bisogna viverla nel sottopassaggio, affrontare la morte sfidando la vita. Un sapere della caducità, è quasi una filosofia autentica, riportala alla sua natura antropologica, alla sua stessa radice, alla “parresia” cioè alla capacità di pensare le cose alla radice. Questa mia filosofia della soglia o del confine, è quasi una scommessa teoretica, alla luce e al buio della mia vita in constante rapporto con la morte.
Tuttavia questa scommessa è anche un’inquietudine morale ed etica, vorrei ridisegnare una scena un teatro della vita, una scena in cui si confronta l’essere per la vita, e il non essere, ma incastrando un terzo fattore “non -so-che” che è quasi niente, una nuova figura che scompagina e scombina le normali prospettive logiche, in cui in maniera assolutistica viene inquadrata esistenza e tutte le filosofie dell’esistenzialismo da Jean Paul Satre in poi. Ho sempre sostenuto che Marx e il marxismo insegnava una visione totale e relazionale della società e dell’uomo, e che inoltre ha ispirato le strategie di liberazione dei popoli, ha accompagnato le speranze e la voglia di cambiamento di milioni di persone, almeno si è presentato come una prospettiva di liberazione. Ma la morte e la vita dove sono in una prospettiva di liberazione?
Analizzando il vangelo teoretico del 900 “Essere e Tempo” di Heidegger, investigando essere per la morte, essere è al tempo stesso la sua morte direi io, la contemporaneità dei due eventi in continuo scambio simbolico. Il filosofo e musicologo francese Vladimir Jankèlèvitch ci dice che la morte si presenta come la possibilità assoluta per ogni soggetto, perché a suo dire chiude infinito cerchio di possibilità . Se la morte chiude infinito l’unica via di fuga non resta che la bellezza. La bellezza come lo stupore difronte a ciò che meraviglia, la bellezza che un artista , qualunque ramo ricopra delle scienze e delle arti, riesce a mettere nella sua opera, quella traccia che rappresenta infinito rapporto, tra “finito-e-infinito”.
Nel nostro secolo lo aveva già sostenuto Ludwig Wittgenstein, nel Tractatus-logico-philosophicus, una volta costruita la scala, bisogna liberarsene, per affrontare i veri problemi dell’uomo. Figli di un dio minore, perché il mondo non ci ha sorriso, il dolore come possibilità del silenzio nel frastuono dell’essere. Il malato non è un essere che deve essere parcheggiato in ospedale, il malato non ha bisogno di cure farmaceutiche, il malato ha bisogno della sua umanità, del dialogo che va ripristinato dove l’essere si è disfatto. Bisogna cercare nella nostra vita un po del possibile sennò soffoco, diceva una scrittrice che scriveva sulle passioni di sinistra, scrive: “La sterile quotidianità, che ci lascia legati al contingente, di cui non comprendiamo che una sottile striscia superficiale, ci aliena dalla immersione nel mondo “vero”, vale a dire in cio che “vediamo e sentiamo”.
La sottomissione totale ad un potere costituito che si arroga il diritto di controllare anche le sensazioni, ci allontana dalla vita. L’azione della tecnologia e aggiungo io della farmacologia , come supplizio di controllo sempre piu capillare sulle singolarità, spegne la creatività degli uomini. Un po di possibile sennò soffoco. E scomparsa la grande narrazione , la narrazione che si occupa dei problemi maledetti dell’uomo. Miseria del capitalismo, e l’avvento della disumanità . Bisogna sovvertire la scrittura come codice di assegnazione e parlare una lingua, la lingua dei viventi, la lingua delle emozioni e delle arti come rapporto “finito e infinito”.
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