Arte e Cultura
Progetto "Grandi Restauri"
I PITTORI - LE OPERE OGGETTO DI RESTAURO
GIOVAN BATTISTA MORONI (Albino, 1521/1524 c.-1579/1580 c.)
Dopo aver frequentato la bottega di Alessandro Bonvicino detto il Moretto di cui diventa abile collaboratore, il Moroni non ancora trentenne ha la straordinaria occasione di lavorare a Trento, città che negli anni del suo soggiorno è in fermento per la presenza del celebre Concilio. Forse questa trasferta è proprio da attribuirsi agli importanti contatti del suo celebre maestro bresciano. A Trento il pittore accoglie stimoli che provengono da un ambiente aggiornato sulle esperienze figurative europee: si relaziona con importanti esempi della ritrattistica internazionale che sta codificando il modello dello state-portait, il ritratto ufficiale da parata.
Le capacità sviluppate dal Moroni in questo genere pittorico gli danno la possibilità di eseguire ritratti molto apprezzati, tra cui quelli a figura intera dei nipoti di Cristoforo Madruzzo, Principe Vescovo della città. Al rientro nella bergamasca le referenze ottenute a Trento gli aprono le porte di una committenza di alto livello. La sua fama è legata all’attività ritrattistica che svolge per aristocratici ma anche per artigiani, piccoli commercianti, liberi professionisti, clero, senza dimenticare il suo intenso parallelo impegno per numerose opere di soggetto sacro per le chiese di Bergamo e provincia. Le indicazioni fornite i pittori dagli organi conciliari che prevedono verità della storia, chiarezza didascalica, schemi gerarchici, invito alla preghiera, semplificazione non sembrano minimamente penalizzare il Moroni. Nel 1575 il pittore riceverà l’apprezzamento del Cardinale Borromeo durante la sua visita apostolica a Bergamo.
Madonna con Bambino, olio su tela, 180 x 95 cm
L’epoca del dipinto di Tagliuno, collocato sulla parete di sinistra della cappella della Madonna del Rosario è indicata nella monografia del pittore (2021) dove Simone Facchinetti scrive: “la scrittura pittorica e le accensioni cromatiche del dipinto lo orientano decisamente verso il 1555”.
Nessun dubbio sull’autografia del dipinto firmato “IO. BAP. MORONUS. P.” nel cartiglio dipinto sul piedistallo della Madonna, dove è visibile l’iscrizione “VIRGINI DEIPARAE”.
Due angioletti nudi trattengono una corona e spargono rose sul capo della Madonna mentre il Bambino dal corpicino atletico mostra la pera che stringe tra le mani. La doppia simbologia riporta a Maria rosa mistica e al frutto come elemento di fertilità e dolcezza. La Vergine si erge in piedi su un piccolo piedistallo, all’interno di una nicchia con oculo sormontato da una balaustra aperta verso il cielo, appena striato di candide nuvole. L’architettura è perfettamente sovrapponibile a quella dello scomparto nel quale è collocato il San Bernardo del polittico della Roncola che risulta essere stato eseguito qualche anno dopo la pala per la chiesa di Tagliuno.
Il volto della Vergine, di ascendenza morettiana, è quello che più spesso si riscontra nelle opere moroniane. La bella stola rigata che, appoggiata sul capo della Madonna le cinge il collo e le spalle svolazzando al refolo di aria doveva essere un accessorio di pertinenza del pittore. La si ritrova infatti arrotolata in vita a guisa di cintura nel San Paolo della pala di Parre, nell’apostolo vestito di rosa che ci volta le spalle nell’Ultima cena di Romano di Lombardia ed inoltre, in maggior evidenza nella Santa Chiara d’Assisi del Museo Diocesano Tridentino di Trento.
«Attraverso i restauri di numerose opere di Giovan Battista Moroni diffuse sul territorio – sottolinea Angelo Piazzoli – Fondazione Creberg desidera proseguire il percorso virtuoso di recupero e di valorizzazione di capolavori del celebre bergamasco, già sfociato in importanti interventi espositivi e culturali promossi sia a Palazzo Creberg che al Museo Diocesano di Bergamo nonché ad Albino, città natale del pittore, durante le celebrazioni del Cinquecentenario della nascita; in quella occasione presentammo il Catalogo Generale, a cura di Simone Facchinetti, un’impresa fondamentale, non esistendo ancora uno studio così analitico e completo sul pittore. Con il “Ritratto di gentiluomo con la barba” di Accademia Carrara recentemente restaurato – e con quest’ultimo restauro della pala della Chiesa di Tagliuno – salgono a 20 le opere di Giovan Battista Moroni recuperate da Fondazione Creberg, per un totale di 34 dipinti considerando le singole opere componenti i polittici».
FRANCESCO CAPELLA detto Daggiù (Venezia, 1711-Bergamo, 1784)
Tra gli allievi più capaci nella bottega veneziana del celebre Giovan Battista Piazzetta, il Capella diventa presto suo fedele collaboratore tanto da rimanere presso il maestro fino alla morte di questi, pur accettando anche commissioni in proprio.
Già nel 1749 lavora per il conte Giacomo Carrara fondatore della pinacoteca che prese il suo nome. «Un giovane di grande aspettativa». Così lo avevano definito
«sia i dilettanti che i professori» ai quali il conte, nel 1747, si era rivolto per avere informazioni su quel pittore veneziano cui voleva affidare alcune nuove, importanti commissioni. Il Carrara lo ingaggia quindi per la pala d'altare raffigurante Quattro santi che adorano la Croce e le due laterali, Santa Lucia e Santa Apollonia, per la parrocchiale di San Martino ad Alzano Lombardo. Il successo di questi dipinti gli permise di ottenere la protezione, non solo del Carrara ma anche dei conti Albani, che gli commissionarono nel 1757 una Maddalena. Nello stesso anno gli Albani lo incaricarono della decorazione di alcuni soffitti del loro palazzo in via Pignolo e in seguito gli procurarono il contratto per la pala con l'Immacolata nella parrocchiale di Tagliuno.
Le numerose commissioni convinsero il Capella a lasciare Venezia e a stabilirsi definitivamente a Bergamo già nel 1757 dove aprì una fiorente bottega e una piccola scuola di pittura.
Vergine Immacolata, olio su tela, 180 x 95 cm
Il dipinto di Tagliuno, collocato sulla parete di destra della cappella della Madonna del Rosario, “fu commissionato all’artista il 14 aprile 1758, come risulta dal contratto firmato dal Capella a Urgnano, dove attendeva a lavori nella chiesa e controfirmato dal conte Teodoro Albani” (Ruggeri, 1977).
Il Capella dipinge qui uno dei “misteri” della religiosità cattolica, l’Immacolata Concezione, proclamato come dogma solo nel 1854 da Pio IX con la bolla "Ineffabilis Deus" che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento.
La Madonna è dipinta secondo l’iconografia tradizionale affermatasi in età controriformista, è infatti qui rappresentata mentre sale in cielo, avvolta in una veste di croccante taffetà e in un ampio manto azzurro. Seguendo fedelmente il racconto dell’Apocalisse, l’artista raffigura la Vergine come una giovane donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo.
Un’immagine molto familiare per i fedeli di allora, anche se erano ancora accese le discussioni teologiche intorno a questo dogma, ma nell’elaborazione del Capella il tema diventa una dichiarazione del trionfo indiscusso della Vergine senza macchia tant’è vero che la femminilità della giovane è piuttosto contenuta in quanto l’abito dai pesanti panneggi ne maschera efficacemente le forme.
La Vergine, in piedi, calpesta il serpente evocando una presenza maestosa e solenne che domina; quasi una monumentale e inattaccabile colonna. La figura è fieramente colta nell’istante del definitivo distacco dalla natura “umana” per assurgere alla condizione “divina”, con lo sguardo rivolto in basso, verso il mondo. L’opera è rallegrata da uno sciame di puttini, alcuni dei quali sembrano giocare a nascondino tra le pieghe del manto.
Un’immagine che si direbbe scolpita nella luce dove l’artista ha virato la propria tavolozza cromatica verso colori limpidi e lucenti. Luminosità e brillantezza del colore, qui testimoniati dai riflessi della veste della Madonna e del gioco della luce, diventano il tratto distintivo del linguaggio pittorico del maestro veneziano.
Ricorda Angelo Piazzoli: «Non è la prima volta che ci occupiamo di Francesco Capella. Nel lontano 1977 il Credito Bergamasco, nostro ente fondatore, promosse una importante monografia, a cura di Ugo Ruggeri nell’ambito di “Monumenta Bergomensia”; nell’anno 2018 restaurammo ben cinque pale: l’”Annunciazione” e la “Fuga in Egitto” di Desenzano al Serio, il “Martirio di Santo Stefano” di Carobbio degli Angeli, la “Madonna del Carmine” di Calcinate e “I Santi Sebastiano, Rocco, Antonio Abate e Carlo Borromeo” di Gorno, alcune delle quali esponemmo a Palazzo Creberg. Non potevamo rinunciare ad intervenire su questo capolavoro del noto pittore veneziano, bergamasco d’adozione».
I RESTAURI SUI DUE DIPINTI OPERATI DA FONDAZIONE CREBERG
I lunghi e delicati interventi sono stati eseguito da Andrea Lutti, con la collaborazione di Sabrina Moschitta, sotto la Direzione di Angelo Loda, funzionario della Soprintendenza di Bergamo.
Sui dettagli dell’intervento si sofferma il restauratore incaricato da Fondazione Creberg: «Le operazioni di restauro sull’opera di Moroni sono state precedute e indirizzate da un’attenta fase di studio supportata da indagini fotografiche, luce diffusa, luce radente, luce ultravioletta, falso colore e macrofotografie, al fine di ottenere una lettura corretta e puntuale del degrado, delle tecniche esecutive e dei danni attribuibili agli interventi pregressi».
«Si è proceduto come prima operazione – evidenzia Andrea Lutti – al consolidamento degli strati preparatori e del colore con l’obbiettivo di stabilizzare la superficie pittorica ripristinando in tal modo un adeguato stato di adesione e coesione degli strati preparatori al supporto tessile. Successivamente è stato effettuato il test di solubilità delle vernici, che ci ha permesso di scegliere per la rimozione delle sostanze filmogene una miscela di solventi organici con una bassa polarità, limitando al massimo l’interazione con i materiali originali, e ottenere un livello di pulitura ottimale e differente in relazione alle singole campiture. Questa delicata fase dell’intervento di restauro è stata monitorata con lampada a fluorescenza UV e microscopio digitale consentendoci di verificare la solubilizzazione delle vernici. Prima del ritocco pittorico abbiamo eseguito la stuccatura delle lacune a livello, in modo da ricostruire l’integrità materica dell’opera, raggiungendo una finitura superficiale adeguata alla zona circostante. L’integrazione pittorica, a conclusione dell’intervento di restauro, è stata realizzata con colori a vernice per restauro, con lo scopo di conferire una corretta e completa leggibilità dell’opera».
«Sull’opera di Francesco Capella – sottolinea Lutti – sono state eseguite una serie di indagini non distruttive con lo scopo di individuarne i materiali costitutivi, la tecnica di esecuzione e lo stato attuale di conservazione. Le indagini si prefiggono l’obiettivo di conoscere la storia conservativa dell’opera, analizzando il suo supporto, gli strati preparatori e quelli della pellicola pittorica. L’intervento ha visto come prima operazione la rimozione delle sostanze filmogene e dei numerosi ed estesi ritocchi pittorici eseguiti ad olio nel precedente intervento di restauro del 1920 mediante l’utilizzo di Solvent-Gel. Questa delicata operazione è finalizzata a ottenere una più adeguata e corretta leggibilità dell’opera, valorizzando il più possibile l’originario equilibrio figurativo e cromatico d’insieme. Le pessime condizioni del supporto ligneo, non più adeguato a svolgere la propria funzione, ci hanno costretto a smontare la tela dal telaio per poi rimontarla, mediante l’applicazione di fasce perimetrali, su un nuovo supporto».
«La stuccatura delle lacune – conclude il restauratore – è stata eseguita a livello per ricostruire l’integrità materica dell’opera, cercando di raggiungere una finitura adeguata alla zona circostante. L’operazione è stata eseguita prima a spatola, per raggiungere il livello della preparazione e successivamente rifinita a pennello creando un collegamento materico tra le nostre stuccatura e la pittura originale, riproponendo la morfologia della tela di supporto, la texture delle pennellate e dei rilievi materici. L’integrazione pittorica, a conclusione dell’intervento di restauro, è stata realizzata con colori a vernice per restauro con lo scopo di conferire una corretta e completa leggibilità dell’opera».
LA FRUZIONE DELLE PALE RESTAURATE
I dipinti restaurati saranno esposti nel Loggiato di Palazzo Creberg dal 14 novembre al 4 dicembre 2024 (nei giorni feriali, dalle 9 alle 13) con ingresso libero.
Dopo la ricollocazione nella Parrocchiale di Tagliuno, i dipinti saranno visibili negli orari di apertura della Chiesa. La Parrocchia darà il “benvenuto” alle opere domenica 8 dicembre 2024, a conclusione della Messa delle 10, con una celebrazione semplice e festosa.