Dammacco/Balivo "Arlecchino nel futuro" al Teatro delle Passioni, Modena
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PRIMA ASSOLUTA
Perché un Arlecchino nel futuro?
Autori di una pluriennale ricerca su un teatro d’arte a vocazione popolare, il drammaturgo, regista e pedagogo teatrale Mariano Dammacco e l’attrice Serena Balivo presentano in prima assoluta un nuovo testo originale che traspone la maschera dello zanni in uno scenario distopico, per offrirci con la leggerezza della Commedia dell’Arte una visione sul futuro prossimo dell’umanità che possa essere una lente attraverso la quale guardare la vita di oggi.
La produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale della compagnia Dammacco/Balivo debutta al Teatro delle Passioni di Modena da martedì 10 a domenica 22 dicembre (martedì, mercoledì, venerdì ore 21.00; giovedì e sabato 19.00; domenica 18.00). In scena con Balivo l’attrice Eleonora Ruzza, Mariano Dammacco firma la regia e la drammaturgia in collaborazione con Gerardo Guccini, studioso di teatro già docente di Drammaturgia presso l’Università di Bologna.
Arlecchino nel futuro è una farsa ambientata nel Nord Italia esattamente fra un secolo, nell’anno 2124: una visione popolata da androidi, astronavi, paure e speranze. In questo racconto ipotetico l’umanità non si è estinta, non c’è stata una guerra atomica né un asteroide ha impattato sulla Terra, ma fa molto caldo, e il genere umano è pronto a migrare sulla Luna dove spera di trovare un futuro migliore.
«Di fronte alle gravi questioni – scrive Mariano Dammacco – alle inquietudini e alle inevitabili paure rispetto al futuro, dalla crisi climatica alle incognite legate agli ulteriori sviluppi dell’intelligenza artificiale e della tecnologia, la scelta di una farsa risponde alla volontà di condividere con gli spettatori uno sguardo su argomenti sensibili scartando un taglio da reportage o saggio sociologico e affidandoci invece agli strumenti tradizionali del Teatro: un racconto, dei personaggi con i loro conflitti, sentimenti e contraddizioni, per provare insieme a non giudicarci bensì a osservarci e interrogarci, con leggerezza e allegra sfrontatezza».
Per Dammacco, che nel contesto di un progetto con la Libera Università di Bolzano e l’associazione Sineglossa ha avuto modo di confrontarsi con i sistemi di intelligenza artificiale applicati alla scrittura, la scelta di Arlecchino come protagonista di uno spettacolo proiettato nel futuro è stata immediata. Racconta: «Mi son trovato in relazione con una sorta di servitore tanto gentile e cerimonioso, fino alla stucchevolezza, quanto manipolatorio e risoluto nel negarsi su argomenti che i suoi programmatori e il suo protocollo gli impedivano di trattare e nel suggerirmi garbatamente strade alternative. Il tutto tra incomprensioni e acerbità del sistema di AI che spesso rendevano buffi i nostri dialoghi.
Ho pensato: il futuro è una commedia con Arlecchino e l’Arlecchino del futuro è una macchina. Poi, subito dopo, ho pensato: no, se si tratta di Arlecchino non è una macchina, è un “poareto” che deve addirittura fingersi una macchina per tirare a campare».
Il protagonista cerca un espediente per poter andare a vivere anche lui sulla Luna, nonostante abbia la fedina penale sporca per aver gettato la plastica nell’umido. Da bravo Arlecchino, a un paio di giorni dalla grande migrazione, indossa i panni del padrone del negozio di una famosa catena dove fa le pulizie, nella speranza di riuscire a vendere a qualcuno in partenza un androide, ovvero un sistema di intelligenza artificiale dotato di un corpo simile a quello degli esseri umani, con cui sostituirsi all’ultimo momento e tentare la fortuna sul satellite.
L’omaggio alla Commedia dell’arte si riflette in diversi aspetti della messinscena, primo fra tutti la lingua che ricorda il dialetto veneto. «I protagonisti parlano due lingue – annota Mariano Dammacco – l’italiano e, per lo più, una lingua simil-veneta, diciamo schiarita, un po' italianizzata in modo da risultare sempre comprensibile a tutti, offrendo all’orecchio dello spettatore una musicalità che richiami quella delle commedie goldoniane, in modo da essere riconoscibile come uno spettacolo con Arlecchino e le altre maschere della Commedia dell’arte, però con uno scenario, una storia, un canovaccio e parole del tutto nuovi, inediti».
Anche i personaggi fanno riferimento al genere: le due attrici Serena Balivo ed Eleonora Ruzza indossano sul volto le maschere, realizzate dal Maestro Renzo Sindoca e dall’artigiano e giovane Maestro Leonardo Gasparri, in un gioco di corrispondenze con il carattere, la vocalità e la fisicità dei ruoli della tradizione.
Sul palco oltre al protagonista, che conserva sempre la sua condizione di umiltà, furbizia e ingenuità, interpretato alternativamente da Balivo e Ruzza, appaiono, recitati da Serena Balivo, il Vecio, un uomo di 154 anni con organi artificiali immaginato nel solco della tradizione di Pantalone, e il servile e manipolatorio Androide 17-22, con una maschera da Arlecchino ma di colore e aspetto diversi e con una nota femminile che richiama Colombina. Eleonora Ruzza in scena è lo Sbirrandroide, un poliziotto del futuro che evoca il Capitano della Commedia dell’arte, e infine Puteo, l’uomo del futuro, una sorta di “zanni ebete” cresciuto dalle macchine e terrorizzato dagli altri esseri umani, l’unico personaggio che non corrisponde a una maschera già esistente: si tratta una creazione originale ideata da Renzo Sindoca nel corso degli anni di collaborazione con Ariane Mnouchkine.
I costumi dei due Arlecchino, identici fra loro, sono realizzati dalla sarta Eleonora Terzi a partire da un disegno di Dammacco. Per il Vecio è stato utilizzato un mantello come per il Pantalone della Commedia dell’arte con il rosso a fare da capolino sul tradizionale nero; i costumi dell’Androide 17-22, una sorta di Pierrot con un grembiule del futuro che richiama il metallo, e dello Sbirrandroide, una giacca vistosa rossa da generale in grande uniforme, sono pregiati manufatti di repertorio riadattati e provenienti dall’archivio di ERT. Il Puteo porta una sorta di tuta da bebè bluastra realizzata da Luigi Spezzacatene una ventina d’anni fa per lo spettacolo di Mariano Dammacco Assedio.
Lo spazio scenico è stato concepito e disegnato dal regista con lo scenografo Gioachino Gramolini e realizzato nei Laboratorio di Scenotecnica di ERT / Teatro Nazionale: «è un quadro, un dipinto, un giocattolo, un luogo che poi viene abitato e prende vita. Si tratta di una zattera o forse un’isoletta, composta da palchetti di colori diversi, che richiamano quelli della Commedia dell’arte e accolgono un trabiccolo fantastico del futuro, una curiosa macchina del tempo che genera personaggi e immagini, insomma il carro dei comici del futuro. Accanto a questa capsula di vetro con sinuose zampe da rover lunare, c’è uno strano totem, forse un albero del futuro, più in là, fuori da questa isoletta, a guardarla, per così dire, ci sono delle poltrone rosse da teatro».
Contribuiscono alla creazione dell’atmosfera e fungono da punteggiatura della grammatica di scena, le musiche originali composte da Marcello Gori, che la compagnia Dammacco/Balivo ha conosciuto in occasione del lavoro La morte ovvero il pranzo della domenica.
Lo spettacolo nasce con un forte riferimento alle opere di Carlo Goldoni e Plauto in particolare ma raccontando una storia ambientata nel futuro è inevitabilmente nutrito dalla letteratura e della cinematografia fantascientifica, da Tempo fuor di sesto, Noi marziani, Scorrete lacrime disse il poliziotto e La città sostituita Philip K. Dick, a Blade Runner di Ridley Scott, da Solaris di Andrej Tarkovskij dall’omonimo romanzo di Stanislaw Lem, a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick.
Note di regia di Mariano Dammacco
La visione di un Arlecchino nel futuro ha fatto capolino nella mia mente un paio di anni fa mentre ero impegnato in un progetto, promosso dalla Libera Università di Bolzano e l’associazione Sineglossa, che prevedeva il tentativo di comporre drammaturgia con l’ausilio di sistemi di intelligenza artificiale. È stata un’esperienza ricca di spunti, alla fine della quale non avevo alcun interesse a proseguire la collaborazione con i sistemi di scrittura che avevo avuto modo di saggiare; in compenso avevo a disposizione una serie di appunti, domande e possibili paradossi, spesso buffi, che riguardano il futuro di tutti noi e che si sono poi tradotti nella drammaturgia di Arlecchino nel futuro.
In particolare una mattina stavo dialogando, tramite tastiera del mio computer, con uno di questi sistemi e ho avuto l’inquietante percezione che la futura relazione tra l’intelligenza artificiale e gli umani si annunci piena di sfumature che fanno la differenza e che porteranno, forse, a una prova di forza tra Umano e Macchina più sottile, insidiosa e ambigua di quanto si possa immaginare.
Mi è parso che non si tratterà soltanto di evitare che i robot facciano perdere il lavoro agli esseri umani, di per sé una catastrofe; non si tratterà soltanto di sperare che sistemi di difesa non scatenino in autonomia dagli umani una guerra magari atomica o con armi che ancora non possiamo immaginare: ho avuto la sensazione che si tratterà di fare fronte a come queste macchine, che dovrebbero essere strumenti nelle mani dell’umanità, rischiano di infilarsi nel nostro intimo e personalissimo modo di sentire e vivere la vita, la relazione con gli altri, con se stessi e il senso della vita.
Tenteremo la via dell’immortalità? È questo un vecchio pallino di noi mortali e forse con l’AI e la tecnologia del futuro ci proveremo davvero? Vivremo una nuova forma di solitudine nella quale ci terremo compagnia con delle macchine che, grazie a diabolici algoritmi sempre più sofisticati, non faranno altro che darci sempre ragione? Fuggiremo così dalla “Asperità dell’altro”, come le definisce Byung Chul Han, il filosofo che sta tentando di decifrare il presente e il futuro del nostro mondo? Delegheremo alle macchine il governo, la giustizia, la sicurezza delle nostre comunità? In tutto questo manterremo la tragica costante storica per la quale una parte dell’umanità si avvantaggerà della futura tecnologia mentre un’altra parte ne sarà vittima?
Mariano Dammacco, autore, regista e pedagogo teatrale, e Serena Balivo, attrice, portano avanti la loro ricerca perseguendo un’idea di teatro d’arte e d’autore e, al tempo stesso popolare, accessibile a tutti per contenuti e linguaggi. La loro ricerca contenutistica e formale è incentrata sull’attore e sulla composizione di drammaturgie originali. I due hanno creato insieme sette spettacoli: L’ultima notte di Antonio (2012), L’inferno e la fanciulla (2014), Esilio (2016), La buona educazione (2018), Spezzato è il cuore della bellezza (2020), Danzando con il mostro (2022), La morte ovvero il pranzo della domenica (2024).
Il loro lavoro artistico ha ricevuto numerosi riconoscimenti: Esilio è vincitore di Last Seen 2016 (spettacolo dell’anno su Krapp’s Last Post), Premio Museo Cervi e Premio In Box blu 2017; è finalista al Premio Rete Critica 2016 e Premio Cassino OFF 2017. L’inferno e la fanciulla è finalista al Premio In box blu 2016.
Serena Balivo ha ottenuto il Premio Internazionale Ivo Chiesa 2021, l’Ubu nel 2017 come miglior attrice under 35 e il Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro 2011.
A Mariano Dammacco è stato assegnato il Premio Ubu 2020-2021 nella categoria Nuovo testo italiano/scrittura drammaturgica per Spezzato è il cuore della bellezza; l’Italian And American Playwrights Project 2020/22 per La buona educazione, il Premio nazionale di drammaturgia Il centro del discorso 2010 per L’ultima notte di Antonio e, precedentemente al percorso con Serena Balivo, è vincitore del Premio ETI/Scenario 1993 per Sonia la Rossa e del Premio ETI/Vetrine 1996 per Amleto e la Statale 16.
I testi degli spettacoli di Dammacco/Balivo sono stati pubblicati in Danzando con l’umano. Cinque drammaturgie di Mariano Dammacco, un libro a cura di Sergio Lo Gatto e Debora Pietrobono, edito nel 2022 nella collana Linea di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale con Luca Sossella editore. Il volume raccoglie le drammaturgie di Mariano Dammacco composte negli anni di collaborazione con Serena Balivo, accompagnate da quattro apparati critici di Gerardo Guccini, studioso di teatro già docente di Drammaturgia presso l’Università di Bologna.
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Dammacco/Balivo
Arlecchino nel futuro
ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco
con Serena Balivo ed Eleonora Ruzza
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
durata 1 ora e 15 minuti
Interpreti e personaggi
Serena Balivo, Eleonora Ruzza Arlecchino
Serena Balivo il Vecio, l’Androide 17-22
Eleonora Ruzza il Puteo, lo Sbirrandroide
Arlecchino nel futuro
ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco
con Serena Balivo ed Eleonora Ruzza
scene Mariano Dammacco e Gioacchino Gramolini
maschere realizzate da Renzo Sindoca e Leonardo Gasparri
collaborazione alla drammaturgia Gerardo Guccini
musiche originali Marcello Gori
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttori Tiziano Barone, Sergio Puzzo, Veronica Sbrancia, Leandro Spadola
scenografe decoratrici Benedetta Monetti con Alice Di Stefano, Bianca Passanti, Martina Perrone
direttore tecnico Massimo Gianaroli
elettricista Sergio Taddei
sarta realizzatrice e di scena Eleonora Terzi
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Biglietteria
Tel. 059 2136021 | [email protected]
Aperta dal martedì al sabato ore 10.00 – 14.00; martedì e sabato anche ore 16.30-19.00
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Prezzi: da 7€ a 15 €