Alberto Ravazzi, 60 anni di autentica passione per produrre dei buoni vini di qualità
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L’evento P64 che cosa rappresenta per le Cantine Ravazzi, oltre a celebrare il suo anniversario di compleanno?
In realtà abbiamo utilizzato il giorno del mio sessantesimo compleanno per presentare ufficialmente questi vini (P64 Sangiovese IGT e P64 Cabernet Sauvignon IGT): 1964 è appunto il mio anno di nascita, ma P64 non è altro che l’indicazione catastale della particella in cui si trova alcuni vigneti di famiglia e, in particolare, il primo vigneto impiantato da mio padre Enio. In realtà, in occasione del Vinitaly 2024, avevamo portato, in anteprima, questi due vini in fiera ancora in affinamento in barrique. Poche bottiglie per l’assaggio, da parte degli “addetti ai lavori”, utilizzando il Coravin. Volevamo avere dei feedback completi dal punto di vista analitico sensoriale della degustazione e la risposta è stata esauriente, per cui abbiamo deciso di metterli in commercio il 28 novembre, che coincideva con la mia data di compleanno, dopo aver completato il ciclo di affinamento in bottiglia.
I due nuovi vini P64 IGT (Sangiovese e Cabernet Sauvignon)Perchè questi due nuovi vini e qual’è il significato che vogliono esprimere a livello personale?
Questi vini rappresentano un punto importante di crescita professionale e personale, in quanto andiamo a inserirci in un nuovo mercato e soprattutto in una nicchia particolare, quella dei supertuscan, in una fascia di qualità e di prezzo notevole. E tutto questo, in un certo senso, rappresenta una sfida, tenendo conto delle nostre origini e della nostra evoluzione negli anni. Il P64 nasce proprio in virtù di questa evoluzione, che è iniziata con il cambio del Disciplinare del Chianti negli anni ’90, che ci ha dato l’opportunità di impiantare vitigni internazionali, che oggi è rappresentata da un Sangiovese in purezza e un Cabernet Sauvignon. Il Sangiovese rappresenta la mia infanzia. Sono nato e cresciuto all’ombra di questo vitigno. Poi l’arrivo in Toscana dei vitigni internazionali, mi ha fatto comprendere che il mondo enologico non ha confini e il Cabernet Sauvignon e il Merlot mi hanno aiutato in questo processo evolutivo per creare dei nuovi vini, aprendo a me e alla mia azienda un mondo di possibilità.
Come è iniziata la vostra avventura nel mondo del vino ?
Raccontare di me, oggi, in qualche modo è una soddisfazione. L’azienda nasce infatti con il mio babbo, nel dopoguerra, e si evolve negli anni ’80 con il mio ingresso in azienda. Ho lavorato con lui, fianco a fianco, a livello imprenditoriale, dal 1985 fino al 1996. All’inizio una piccola realtà, primi imbottigliamenti da piccoli numeri. Il vino si vendeva ancora a damigiane. Erano gli anni ’80 e quindi il nostro mercato del quel periodo, era esclusivamente locale. Poi negli anni ’90 c’è stata la svolta verso il mercato tedesco, complice la vocazione turistica del nostro territorio, che specialmente nel periodo estivo, ci ha fatto incontrare i primi clienti stranieri, come un importatore tedesco, che da oltre 20 anni, vende i nostri vini a Berlino. Nonostante che il rapporto commerciale duraturo nasce qui in azienda, direttamente nella nostra cantina, un punto di partenza, che ha generato un’evoluzione positiva, è stata la nostra presenza al Vinitaly. E’ lì che abbiamo incontrato i nostri clienti importatori più importanti, che altrimenti non avremmo avuto occasione di poter raggiungere.
Vino di qualità in un territorio vocato alla produzione vitivinicola, sotto un profilo di puro romanticismo come descriverebbe la passione di fare vini?
Sono d’accordo con lei, si c’è sempre una componente emotiva nel descrivere il nostro lavoro in azienda, che poi viene trasmessa anche al cliente. Ognuno di noi ha un luogo del cuore, un posto dove trarre ispirazione, che ti porta a riflettere e che vuoi condividere solo con le persone amate. Quel particolare vigneto (P64) per me ha sempre rappresentato quel luogo di pace interiore che ti porta a ricollegarti con la terra. Da sempre. E da sempre ha dato frutti incredibili, uve capaci di creare vini di particolare gusto. Per questo abbiamo deciso di selezionare proprio le uve di queste vigneti per i nostri due nuovi vini e di dargli questo nome. Proprio in occasione dell’anteprima P64 al Vinitaly, a un certo punto mi sono emozionato, durante la descrizione dei vini. Mi sono reso conto di aver trasmesso qualcosa in più, un qualcosa di diverso, che è stato recepito anche dalle persone presenti alla degustazione. Raccontare dei sacrifici che ci sono dietro alla realizzazione di un prodotto, di come l’azienda, la famiglia e il territorio siano componenti fondamentali di un prodotto, non è mai facile.
Che tipi di vini producete? Quali sono le etichette a valore aggiunto, che rappresentano la connotazione riconosciuta del vostro brand?
Tutti i vini delle Cantine Ravazzi sono a base di Sangiovese. Poi, essendo in Toscana, utilizziamo anche vitigni internazionali, ma il Sangiovese la fa da padrone e con percentuali importanti. Siamo partiti da una linea classica, che abbiamo sempre avuto a partire dagli anni ’60. Al suo interno troviamo vini toscani giovani e leggermente invecchiati, con 2-3 di affinamento in legno, imbottigliati con la classica bottiglia bordolese. Poi circa quindici anni fa, ho voluto creare un nuovo brand che prende il mio nome: Collezione Privata Alberto Ravazzi. In questa linea abbiamo voluto osare, proponendo delle bottiglie molto particolari. Oggi, è composta da cinque vini rossi, un bianco e un rosato. Al suo interno troviamo un blend interessante di Sangiovese e vitigni internazionali. Il nostro vino più importante, guarda caso si chiama Prezioso e sta dentro una bottiglia da 1 kg e 2 (50% circa di Sangiovese e Merlot), la cui gradazione arriva quasi a 15°. Quindici anni fa, quando siamo partiti, con le prime 3000 bottiglie, è stata veramente una sfida. Oggi, ne abbiamo 8000/10000 in base alle annate. E’ un vino, che è riuscito a ritagliarsi un proprio mercato tra nostra clientela.
Quali sono i progetti per il futuro? Ci sono all’orizzonte nel medio termine nuovi vini da proporre?
Il P64 non è più il futuro, è il presente! Per il futuro pensiamo a un metodo classico, che da sempre stiamo valutando con il nostro enologo Andrea Bernardini. Ci piacerebbe creare un prodotto importante, che in questo momento segue una scia già tracciata. Per cui non sarebbe una novità per il mercato, ma lo sarebbe per le Cantine Ravazzi. Un qualcosa che andrebbe oltre il nostro rosso toscano Chianti. Con un invecchiamento in legno o in barrique. Io mi sento pronto per fare questo passo e all’interno della mia famiglia c’è già qualcuno pronto per darmi una mano importante in questo a livello emotivo: mio figlio Francesco. Poi sicuramente, ci sarà un’evoluzione dei prodotti. L’enologia è una scienza che comunque va avanti e crea nuove occasioni di espressione verso nuovi progetti. Io sono molto aperto ai cambiamenti, alle nuove proposte.
Come organizzate le visite in cantina per i wine lovers?
Di solito approntiamo dei pacchetti di degustazione, che prevedono l’abbinamento con prodotti agroalimentari locali di 5/6 vini. Si parte da una visita dei vigneti, condizioni permettendo. Di solito diventa molto suggestivo per il visitatore vedere nella vigna germogliare il primo fiore oppure capire le differenze tra le varietà di vitigno impiantato. E’ sempre un momento coinvolgente, di gradimento, anche se non c’è ancora l’uva tra i filari. Vivere tutto questo, apre sicuramente una visione più marcata della nostra realtà produttiva. La visita si conclude con il ritorno in cantina.
La vostra azienda ha una gestione familiare. Quanto è importante il supporto di ogni singolo componente della famiglia nella crescita professionale delle Cantine Ravazzi?
Per me, sicuramente è stata un’evoluzione. Sono nato qui in azienda e sono cresciuto in una famiglia di produttori di vino, per cui ho cercato di trasmettere ai miei figli, consapevolmente o inconsapevolmente, la passione che ho ereditato dai miei genitori. Credo molto anche nella condivisione di idee e progetti. In famiglia parliamo spesso e ci confrontiamo. C’è la passione per il lavoro da parte di Martina, che sviluppa il marketing, cura i social network. Francesco, che si è laureato in enologia, è più appassionato alla vite, al vigneto, alla cantina. Infine Matteo, che pur facendo un altro tipo di lavoro (bancario) ha sempre collaborato in azienda. Sicuramente è anche l’ attento osservatore esterno, che riesce a individuare cose che a noi che viviamo in azienda ci sono sfuggite. Spesso dall’esterno è più facile proporre delle idee, che scaturiscono da un concetto di visione diversa e quindi è in grado di darci dei consigli. Altrettanto importante è il ruolo ricoperto da mia moglie. Perchè se non ci fosse stato l’appoggio e il supporto di Roberta non avremo potuto fare il percorso che ci ha portato fin qui. Quindi un grande plauso va a mia moglie.
Mercati internazionali, quali sono le iniziative sul medio termine che intendete adottare per il vostro sviluppo commerciale?
Credo, che ci sia molto da sviluppare nel mercato europeo, al di là del “sogno americano” per conquistare il mercato statunitense. Un sogno, che ho immaginato come un viaggio in aereo e il planare in fase di atterraggio, ti mostra un mondo enorme di un grande mercato ancora da conquistare. Però oggi, l’esperienza mi riporta a una realtà più prettamente europea e credo che sia il nostro mercato del futuro, perchè più alla nostra portata, di facile gestione dal punto di vista logistico e promozionale. La Svizzera attualmente ci sta dando delle belle soddisfazioni, seguita dall’Olanda. Un mercato su cui potremmo posizionarci è la Danimarca. Sono tutti mercati facili da raggiungere, che ti danno la possibilità di seguire il cliente da vicino, con un budget più limitato. Per noi, questo aspetto è fondamentale: avere un contatto diretto, in un mondo sempre più virtuale, fa la differenza per lo sviluppo del nostro business. Ci aiuta a costruire solide relazioni con i nostri clienti/importatori.