Al Teatro “Vittoria Colonna” di Marino applausi per “Il cappello di carta”
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Domenica 30 marzo alle ore 18,00 presso il Teatro “Vittoria Colonna” di Marino la Compagnia Teatro7 srl è andata in scena la commedia “Il cappello di carta” di Gianni Clementi per la regia di Michele La Ginestra.
Sul palco gli attori: Sergio Zecca, Francesca Baragli, Alessio Chiodini, Michele Enrico Montesano, Ilaria Nestovito, Mariateresa Pascale e Tiko Rossi Vairo.
Una commedia eccezionale, molto emozionante. Parliamo di una Roma del 1943 in piena guerra. Dentro un appartamento. Una prestazione attoriale veramente magnifica. Dentro ci sono tante cose. Ci rimanda al grande poeta del popolo Trilussa. Questa romanità che combatte la guerra, che combatte il nazismo. Ricordiamo che Trilussa aveva questa capacità, attraverso il sarcasmo e l’ironia, di raccontare una verità forte. Ci ho visto anche Pasolini, la vita dei ragazzi di borgata -, della gente semplice che tutti i giorni deve darsi da fare nella guerra. Ma ci ho visto anche un po' del bellissimo film I Girasoli con Sofia Loren e Marcello Mastroianni. Ma anche Natale in casa Cupiello, i conflitti familiari dentro un appartamento: viverci dentro è dura. Poi la scena col bambino: lì tocchiamo il pathos che ci rimanda alla meravigliosa Anna Magnani in Roma città aperta.
Al termine dell’esibizione ne abbiamo parlato con i protagonisti.
Voi avete conquistato il pubblico, raccontando una storia molto forte attraverso ironia e sarcasmo. Cosa ne pensate delle considerazioni appena fatte?
“Ho sempre dato una visione neorealista a questo spettacolo – afferma Tiko Rossi Vairo – quelle citate sono tutte dinamiche familiari o popolari che comunque sono rimaste dal ’40 fino agli anni ’80 a Roma. Alla fine poteva essere ambientata anche in altri periodi storici, però comunque sono le dinamiche familiari, la capacità di affrontare le difficoltà del giorno, del momento del periodo con i mezzi che si hanno e questa famiglia che un po' si critica, si sopporta e si supporta: alla fine è l’amore che diamo al nuovo arrivato, al bambino, così come diamo agli innesti della famiglia. Al di là del contesto storico è il messaggio che questa famiglia ce la può fare anche in situazione drammatiche se è unita e si supporta a vicenda”.
Sergio Zecca, il nonno, questo nonno monello, ma anche tanto saggio che ne fa di tutti i colori.

“Che dire? Questi racconti li ho sentiti in prima persona. Io che sono il più agée del gruppo, ho avuto i nonni, gli zii che mi hanno raccontato la guerra – ci confida Sergio Zecca – mia mamma, mio zio che fece la campagna di Russia, uno dei pochi tornati in quelle lunghi camminate inmezzo alla neve, con la gente che gli moriva intorno, mio nonno medaglia al valore, mio zio negli alpini. Sono racconti che ho in testa da piccolo e che mi hanno sempre affascinato, cose molto dure. Insieme a tutti i capolavori citati. Personalmente sento quell’atmosfera là come un po' vissuta. Quando andavo in Umbria, le vecchie case dei nonni, sentire l’odore di quelle vecchie case, come se fosse rimasto fermo nel tempo in un film in bianco e nero. Questo è quello che mi sono portato dietro nel personaggio. La commedia è uno spaccato di vita familiare con un linguaggio vero, genuino, autentico, con la regia sapiente di Michele La Ginestra che ci ha mosso in maniera vera, autentica, ricreando una atmosfera in cui lo spettatore poteva stare nella casa insieme a noi, c’era la rottura della quarta parete. Che è poi quello che ci dicono sempre: “sembrava di stare lì con voi e non in platea”.
Maria Teresa Pascale: “Io in questa commedia sono Anna, questa zia, questa giovane vedova che in quel periodo poteva capitare molto spesso. L’ultima cosa che ha setto Sergio: ci sembra di essere lì, molto coinvolti, legati in una storia anche molto semplice. La grande storia è alle spalle della nostra storia, interagiamo anche poco, nessuno di noi è partito per la guerra, noi siamo tutti lì, ci vediamo dall’inizio alla fine. Però ci facciamo i conti con questi grandi eventi che accadono, mantenendo ciascuno i propri bisogni, desideri, perché nonostante la guerra, le morti, le deportazioni, perché in una delle nostre scene noi raccontiamo quello che è stato il rastrellamento del ghetto il 16 ottobre, poi si muovono gli amori, questa ragazza giovane Bianca che si innamora di questo ragazzo, io che comunque sono vedova, un po' tormentata, però vorrei di nuovo un compagno. Questo nonno che comunque la serata all’osteria, deve andare al Verano a raccontare le cose a Lucia sua, queste piccole storie vere di ciascuno che si intersecano nella grande storia, trovo che Clementi con la sua scrittura e Michela La Ginestra con la sua regia semplice che ci fa muovere e respirare assieme fanno sì che questo spettacolo abbia quel successo che sta avendo da un anno”.
Ma dietro le cose semplici in realtà ci sono cose più complesse. Una domanda: Quando a un attore viene assegnato un ruolo che deve interpretare nel migliore modo possibile, perché poi il pubblico è una spugna, tocca quel che succede sul palcoscenico, com’è l’approccio dell’attore?
“E’ molto personale – ci dice Alessio Chiodini che interpreta Candido – Il pubblico tocca se noni siamo bravi a far toccare, non è detto che il pubblico tocchi, dobbiamo essere bravi noi a far allungare quella mano sul palcoscenico. Ogni personaggio è una storia diversa, è un costume diverso, è una vita diversa. Magari ci sono personaggi con i quali ti senti più attaccato, riesci a entrarci più facilmente, altri che richiedono un percorso un po' più lungo. E’ sempre bello perché è un’esplorazione, si mettono in gioco tante cose: la creatività, l’istinto, tante cose che fanno parte del tuo lavoro”.
“Metti sicuramente qualcosa di tuo – aggiunge Francesca Baragli - io nel ruolo della mamma che è un po' la colonna portante della famiglia. Io nella vita ho un figlio maschio ed una figlia femmina: non pensavo di essere così dura. Ma i miei figli mi hanno detto che sono un po' così. Questo personaggio lo amo tantissimo, mi sento a casa. Mi sembrano figli miei. Lui è mio marito, con Maria Teresa (Pascale) litighiamo sempre”.
“Noi come compagnia veniamo da un percorso in cui ci siamo amalgamati tanto – precisa TIko Rossi Vairo - abbiamo fatto un altro spettacolo sempre ambientato durante la guerra in cui eravamo una compagnia di avanspettacolo, un altro tipo di famiglia”.
Devo dire congeniale anche la scelta dei costumi in base alle personalità. Per esempio Patrizia Ciabatta che interpreta Bianca, un aspetto molto angelico “Ma in preda all’ormone – come ci conferma lei stessa - Lei in questa fase ha questa preoccupazione, scaviamo ancora di più, dal grande andiamo al micro, anche lei ha il suo dramma interno, non da poco per l’epoca: rimanere incinta giovane, che non si è sposata, per lei è una cosa molto grave. Io non ho figli n’è l’età di Bianca nella vita. Si parlava del costume… C’è un lavoro da fare, i costumi aiutano, l’atteggiamento fisico, ma questo testo è scritto talmente bene che fa da solo”.
Luca La Ginestra “Io interpreto Remo Compagnia Cantando, che poi era il ruolo di mio fratello che ha cominciato a fare un altro spettacolo, io avevo fatto l’aiuto regia in questo e sono subentrato come sostituto. E’ un ruolo che mi piace tantissimo. Remo è un ragazzo con la testa fra le nuvole, che si impegna con la ragazza che ama ma che non può mantenerla, che ci fa capire come la situazione era diversa da adesso. Ora i ragazzi possono fare come gli pare e gli dà la possibilità di essere magari più lascivi in qualche situazione, lì quando ti impegnavi con una ragazza dovevi sposartela in quegli anni, quindi ci fa capire il dramma di questo ragazzo che è veramente innamorato ma non ha la possibilità di mantenere una famiglia tutta sua”.
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