SCUOLA ED AUTONOMIA DIFFERENZIATA: FAVOLE, STORIA E REALTA'

In questo articolo Franco Banchi ricostruisce le coordinate per comprendere al meglio il lungo percorso che nei decenni ha riguardato il tema dell'autonomia scolastica fino all'epilogo dell'autonomia differenziata. Banchi, docente di storia e filosofia, giornalista e scrittore, ha alle spalle anche una precisa competenza tecnico-politica, maturata in Consiglio Regionale della Toscana proprio al tempo della revisione del titolo V della Costituzione, e sindacale nel mondo della scuola.
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Firenze, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni)

UNA QUESTIONE CHE NASCE DA LONTANO

La recente approvazione in Parlamento dell’autonomia differenziata non risolve tutto con il magico schiocco delle dita. La complessità di questo provvedimento non risiede solo nel livello politico; comporta un lungo iter complementare ( non meno importante) e, soprattutto, ha notevoli implicazioni costituzionali ( per altro non nuove ).

E’ nostra intenzione circoscrivere il tutto al tema della scuola, uno degli autentici nodi dell’autonomia differenziata ed anche la dimostrazione che ogni percorso ha una storia lunga su cui l’ignoranza non è ammessa.

La questione nasce da molto lontano ovvero dalla Costituzione stessa. All’art. 116, comma 3, si pone in modo lungimirante la possibilità – opportunità che le regioni ordinarie arrivino a chiedere “l’ottenimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia”. Nell’art. seguente, 117 , si citano al riguardo “le norme generali sull’istruzione”.

LEGGE SULL'AUTONOMIA SCOLASTICA E REVISIONE DEL TITOLO V

Altro passaggio cruciale quello della revisione del titolo V della Costituzione, Legge n.3 del 2001.

Io ho avuto la fortuna e l’onere di seguire dal “di dentro” questo momento legislativo nella Commissione deputata del Consiglio Regionale della Toscana , in cui già emersero complesse problematiche sulla “legislazione concorrente” tra Stato e Regione.

Questa revisione costituzionale non semplice ha avuto conseguenze sul mondo della scuola italiana. In sintesi, possiamo parlare di una frammentazione delle competenze e sua distribuzione trasversale su vari livelli (Stato, Regioni, per finire ad Enti locali ed istituzioni scolastiche ).

Ma per completezza occorre dire che la costituzionalizzazione del principio di autonomia scolastica era già stata definita con legge ordinaria n. 59 del 1997, art. 21.

Ecco l'incipit: "L'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell'intero sistema formativo. Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione". Anche se non meno importante è il rilievo che segue: "Fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio".

LA BUSSOLA DELLA COSTITUZIONE

Seguono nel tempo numerosi i pronunciamenti giuridici, compreso quelle della Corte Costituzionale, per dirimere i vari contenziosi sorti sulle competenze "concorrenti" anche in materia di scuola. In particolare la Corte Costituzionale rimarca spesso la ratio primaria dell'impianto costituzionale: la necessità di una parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione.

Per completezza di informazione occorre dire che il mito di un sistema scolastico totalmente centralizzato non è più cosa oggettiva. Secondo l'OCSE, al Ministero resta ad oggi il 52% delle attribuzioni in materia di istruzione. Tutti gli altri Enti hanno quindi molte competenze, a cui spesso rispondono con difficoltà o lentezza per la carenza di risorse finanziarie. Quindi il problemma non è solo di concetto, ma di portafoglio.

LA BUONA SCUOLA ED IL LABORATORIO 2018 SULL' AUTOMIA DIFFERENZIATA

Disposizioni miranti alla regionalizzazione del sistema scolastico sono contenute anche nel cosiddetto provvedimento renziano della "buona scuola". Si tratta di parte della legge n. 107 del 2015.

Ecco alcuni esempi: all'art. 1 ,comma 66, si parla di personale docente regionalizzato e concorsi su base regionale ( art. 2, 1 ). Ma si prosegue anche con riferimento all'adeguamento dei curricola di insegnamento rispetto al territorio ( art. 1, comma 60 ).

Ma il precedente di gran lunga più interessante, quasi un laboratorio preliminare rispetto all'autonomia differenziata, è quello intrapreso nel 2018 da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna ( non omogenee come maggioranza politica ). Nelle bozze preparatorie all'intesa tra tali Regioni e Stato si entrava in merito anche alla scuola, proprio in riferimento alle esplicite possibilità costituzionali di attribuzioni in materia di istruzione ( vedi già citato art. 116 ).

Si diffusero già allora forti preoccupazioni nel mondo della scuola, soprattutto in relazione alla possibile regionalizzazione del rapporto di lavoro del personale docente ed amministrativo, con conseguente contrattazione regionale.

L'APPRODO FINALE: CONSEGUENZE, PROBLEMI ED OPPORTUNITA'

Come si vede, non siamo certo all'anno zero in materia. Sulla locomotiva - scuola in corsa si gioca ormai da decenni la partita dell'autonomia, declinata in tutte le possibili sfumature, da debole a fortissima.

Ma veniamo a quello che potrebbe essere il vero e proprio epilogo della partita, l'approdo all'autonomia differenziata.

Quali le più significative conseguenze ? Come già detto, quelle derivate dall'estensione interpretativa delle "norme generali" a favore delle reguoni. Ad esempio: disciplina obbligo scolastico; organizzazione scuole primarie; curricola didattici; criteri formazione classi; costituzione di reti territoriali tra le scuole per la definizione degli organici di rete. Particolare attenzione, già dalle prime reazioni, è stata posta sulle competenze in merito alla parità tra istituzioni scolastiche, che potrebbe portare a soluzione una delle questioni più controverse della scuola italiana, ma su cui da sempre incombe la mannaia ideologica. Altro problema ed insieme opportunità potrebbe essere legato alla contrattazione. Senza toccare quella di primo livello ( nazionale ), sembra possibile attivarne un'altra di secondo livello ( regionale ), con funzione di rafforzare la qualità del sistema scolastico regionale, puntando su incentivi, protezioni sociali e percorsi premiali per il personale ( come per altro già previsto da Regioni del Nord ).

ANCORA TANTO CAMMINO DA FARE E CON SAGGEZZA

Altro capitolo delicato, anzi fondamentale per la concretizzazione dell'autonomia differenziata è quello dei LEP ( Livelli Essenziali di Prestazione ), che devono essere definiti dal Governo entro 24 mesi.

Nell'ambito dell'istruzione definire i LEP a garanzia delle regioni più fragili, evitando il rischio di sperequazioni, non è cosa semplice. Lo dice chiaramente la Segretaria della CISL Scuola, Barbacci:" Rimane difficile ragionare di LEP per un sistema come la scuola che non produce beni materiali o prestazioni facilmente misurabili". E prosegue notando che solo "parametri efficaci possono garantire le aree in maggiore difficoltà".

Da affrontare in conclusione il tema culturale - politico e costituzionale più sensibile e non aggirabile: è possibile che l'autonomia differenziata si traduca sic et simpliciter in un' integrale devoluzione delle competenze sull'istruzione?

Doppia considerazione al riguardo: da Costituzione non è possibile che le regioni a statuto ordinario arrivino ad essere equiparate a quelle a statuto speciale. Queste ultime hanno spazi e titoli "storici" per il loro status di garanzia; le altre, come recita la Costituzione, possono certo attivare "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" ( art. 116 ), ma con riferimento ad esigenze nuove e particolari del contesto territoriale.

Questo comporta la necessità politica, prima ancora che giuridica, di procedere con saggezza e cautela, soprattutto nel campo assai scivoloso delle attribuzioni alle Regioni delle "norme generali sull'istruzione".

Ufficio Stampa

Franco Banchi
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