Il caso Transcom: quando rispettare le regole diventa un limite

Il caso del call center aquilano di Transcom Worldwide apre un problema più ampio sul sistema degli incentivi alle imprese teso a premiare i nuovi insediamenti a scapito di aziende che hanno una storia ed una solidità industriale. Le riflessioni dei responsabili delle Risorse Umane di Transcom.
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, (informazione.it - comunicati stampa - telecomunicazioni) Salita agli onori della cronaca per una lunga trattativa legata al Call Center dell’Aquila e ai suoi 350 dipendenti, Transcom Worldwide sta ponendo un problema di merito che va oltre la singola vicenda “terremoto” e riguarda un intero sistema di incentivi che, oggi più come mai, tende a premiare i nuovi insediamenti a scapito di chi ha già dimostrato di essere virtuoso in termini di occupazione e rispetto delle regole.

“La situazione è di fatto paradossale” ci spiega Giuseppe Bertini Human Resources Manager di Transcom. “ Questo sistema, se non adeguatamente rivisto, può arrivare a mettere in crisi soprattutto le realtà più solide e strutturate”.

Infatti, nel nostro Paese, i meccanismi di incentivi alle imprese prevedono agevolazioni quasi esclusivamente per le aziende in start up. Sostenendo la creazione di nuove imprese, le istituzioni mirano a favorire lo sviluppo del sistema produttivo e la creazione di nuovi posti di lavoro, attraverso agevolazioni per le assunzioni del personale, che per un call center in outsourcing, rappresenta dal 70% all’80% del totale dei costi. La maggior parte di queste agevolazioni ha una durata massima di 3 anni, periodo al termine del quale il costo del personale ritorna a pieno regime.

In questo contesto, aziende presenti nel territorio italiano da più di dieci anni, come Transcom, si trovano molto spesso a dover competere ad armi impari con aziende neo-insediate e che hanno un costo del personale molto più basso. In taluni casi si registrano differenziali anche del 30 – 40% sul costo effettivo del lavoro.

Soluzioni? Sicuramente il correttivo più opportuno è rappresentato da una serie di strumenti che premino le aziende solide dal punto di vista industriale e finanziario e, soprattutto, quelle che, nella propria storia, abbiano dato prova di rispetto delle persone e delle regole.

Un esempio concreto viene dalla sede aquilana del call center Transcom. “In sintesi” prosegue Giuseppe Bertini “l’esperienza del call center aquilano dimostra la fragilità del sistema attuale. In sostanza, è stata sufficiente la presenza di alcuni fattori strutturali (crisi economica e crisi di comparto in un contesto di dumping sul costo del lavoro) ed un evento straordinario (terremoto) per determinare la messa in crisi di un’azienda che, nei suoi alti e bassi, ha comunque garantito uno stipendio più che dignitoso e comunque più alto rispetto a quello di mercato a circa 350 dipendenti, tanto da divenire la realtà privata più importante sul territorio”.

Purtroppo, il mercato dei call center, caratterizzato da un’alta densità di risorse umane, non ha tuttora un sistema di regole certe e valide per tutti i players, teso anche a garantire stabilità occupazionale, specie nei periodi di crisi. In sostanza, in Italia si è verificata una rapida trasformazione del mondo del lavoro, con formule di collaborazione diventate sempre più flessibili, a cui il sistema legislativo non è riuscito a fornire regole idonee. Cosicché le regole in vigore sono ancora legate ad un modello industriale fatto di fabbriche e di operai.

In un contesto così dinamico, anche le relazioni industriali, stanno vivendo profonde e significative trasformazioni. E ai sindacati viene richiesto un ruolo propositivo e continuo. Secondo Michele Tedeschi responsabile del personale per le sedi Transcom di Bari e Lecce “le relazioni sindacali rappresentano tuttora un fenomeno discontinuo nel tempo: troppo spesso, le relazioni tra aziende e sindacati si accendono quando c’è una scadenza o un’emergenza e non per costruire. Ripensarle come un processo permanente potrebbe essere il modo per legarle in maniera più costruttiva alle diverse istanze mosse dalle imprese, dai lavoratori e, ovviamente, dai clienti. Aggiungo che il sindacato moderno deve necessariamente iniziare a parlare il linguaggio della flessibilità, della competitività e della produttività in termini qualitativi. Dobbiamo essere tutti più aperti, lungimiranti e più coraggiosi nel trovare nuove soluzioni alle sfide che il mercato giorno dopo giorno ci prospetta”.

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