Prometheica e la conquista dello spazio: la rassegna si arricchisce

Milano, 12 dic - A che serve la conquista dello spazio? Tanto per cominciare, a fuggire da quelli che fanno domande stupide. In un paesaggio culturale dominato (purtroppo anche nei mondi del “dissenso”) da piattume piccolo borghese, opprimente strettezza di vedute e deliri paranoidi, proiettare i nostri progetti, o anche solo i nostri sogni, in una dimensione più alta e più lontana è sempre cosa buona e giusta. È questo lo spirito che ispira il progetto di Prometheica.
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Milano, 12 dic - A che serve la conquista dello spazio? Tanto per cominciare, a fuggire da quelli che fanno domande stupide. In un paesaggio culturale dominato (purtroppo anche nei mondi del “dissenso”) da piattume piccolo borghese, opprimente strettezza di vedute e deliri paranoidi, proiettare i nostri progetti, o anche solo i nostri sogni, in una dimensione più alta e più lontana è sempre cosa buona e giusta. È questo lo spirito che ispira il progetto di Prometheica. La rassegna di studi sul sovrumanismo, la tecnica e l’identità europea è giunto al suo sesto numero.

Prometheica e la conquista dello spazio

 

Alla conquista dello spazio, in questo sesto volume di Prometheica (126 pp.; 12,00€), è dedicato l’intervento – uscito inizialmente sul sito di Rage – di Peter Columns, voce importante del vivace mondo prometeico francese. L’autore transalpino ci ricorda che non basta dire «esplorazione spaziale»: bisogna anche dare il giusto supporto ideologico all’avventura interplanetaria. Già, perché esiste un sogno spaziale mondialista e ne esiste uno identitario. Quello che dobbiamo immaginare è una sorta di ver sacrum stellare: la fondazione nell’altrove più remoto di una civiltà che ci riporti alle nostre origini ancestrali. A chi ritenesse l’obbiettivo troppo «smisurato», consigliamo di leggere il saggio di Carlomanno Adinolfi con cui si apre questo volume. Una attenta disamina sulla venneriana «metafisica dell’illimitato». Davvero ci sono limiti che non dobbiamo superare? Che senso ha il monito classico a non peccare di hybris? Adinolfi rimette le idee a posto, dimostrando che l’antichità greco-romana non era certamente abitata da timorosi fan del principio di precauzione.

Gli approfondimenti su Nietzsche e molto altro

 

Un altro testo importante che presentiamo qui ai lettori è Nietzsche e il mito europeo, scritto da uno dei numi tutelari di Prometheica: Giorgio Locchi. Si tratta di un articolo che compare per la prima volta in italiano e che, anche nella sua versione francese, è passato sul cielo del mondo non conforme come una meteora, tanto da essere stato escluso da tutte le recenti raccolte locchiane. Il testo uscì originariamente su Engadine n. 13, organo della Société Nietzsche, nell’autunno del 1972, e costituiva in realtà il testo del discorso pronunciato da Locchi al seminario del Grece su «Nietzsche et notre temps».

Dagli agitatori culturali del passato a quelli del presente (con tutte le ambiguità del caso): in questo numero presentiamo infatti il pirotecnico, ancorché controverso, Manifesto del tecno-ottimismo, scritto da uno dei più in vista magnati della Silicon Valley, Marc Andreessen. Nel suo commento, Adriano Scianca sviscererà le potenzialità, ma anche le contraddizioni di questo testo accelerazionista e visionario. Sempre di accelerazionismo, nella sua versione identitaria ed eretica, torna a parlarci anche Francesco Boco, mentre Enrico Petrucci svolge un’ampia e dettaglia illustrazione del pensiero della influente scrittrice e filosofa americana Ayn Rand. Completa il numero la consueta rubrica delle recensioni.

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