I talebani vietano le finestre sugli spazi destinati alle donne: "Possibili atti osceni"
Articolo Precedente
Articolo Successivo
Una nuova scure sulla libertà delle donne in Afghanistan, un nuovo decreto che le imprigiona sempre di più. I talebani hanno imposto un decreto che vieta l'apertura di finestre su aree destinate alle donne e impone la chiusura di quelle già esistenti. Se la finestra di una casa, ad esempio, dà sulla cucina della casa di un vicino, o su un cortile o su un pozzo o un'altra area in cui è possibile che una donna svolga le proprie attività, deve essere murata. (Today.it)
Se ne è parlato anche su altre testate
Dopo aver vietato la loro immagine fisica e perfino la voce degli esseri umani di sesso femminile negli spazi pubblici, ora i talebani arrivano all'estremo di elevare il loro assillo a regola urbanistica. (il Giornale)
Intervista a Raffaela Baiocchi, responsabile dei progetti salute donna di Emergency, che di fronte alle nuove strette dei talebani dice: "Restiamo in allerta, ma continuiamo a fare il nostro lavoro" (Il Fatto Quotidiano)
Le donne non devono essere visibili, neanche dalle finestre di casa. Dunque vanno murate tutte quelle finestre degli edifici residenziali attraverso le quali è possibile vedere “il cortile, la cucina, il pozzo del vicino e altri luoghi” che solitamente utlizzano. (Il Fatto Quotidiano)
La stretta dei talebani sulle donne è una morsa sempre più soffocante. (Secolo d'Italia)
Prima segregate e annegate nel silenzio. Adesso, addirittura, murate. La tenaglia dei taleban sulle donne afghane si stringe sempre più forte. Il loro ultimo diktat impone che i palazzi in costruzione non abbiano finestre che si affacciano su ambienti, come la cucina o il cortile di un’abitazione vicina, in cui è probabile trovare donne alle prese con attività quotidiane come la preparazione dei pasti o la raccolta dell’acqua dai pozzi. (Avvenire)
La decisione è stata presa dal governo dei talebani, che hanno dato seguito alla minaccia di due anni fa quando avevano chiesto di sospendere le lavoratrici all’interno delle ong nazionali e straniere. (L'HuffPost)