Da Buenos Aires a Roma: il pontificato di Francesco, tra riforme e guerre

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SALUTE

Quando, il 13 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio apparve sulla loggia di San Pietro, vestito di bianco e senza la mozzetta rossa, molti compresero che qualcosa stava cambiando. Proveniente da quella che lui stesso definiva "la fine del mondo", l’Argentina, il nuovo papa portava con sé un’impronta diversa, lontana dai formalismi della Curia romana. Francesco, primo pontefice gesuita e primo a scegliere il nome del poverello di Assisi, ereditava una Chiesa in crisi, divisa tra scandali finanziari, tensioni interne e una fede sempre più marginalizzata nel dibattito pubblico.

La sua elezione non fu un caso. Benedetto XVI, consapevole delle sfide che attendevano il successore, aveva lasciato il soglio pontificio con un gesto senza precedenti, aprendo la strada a un uomo che, pur estraneo alle dinamiche vaticane, godeva del suo appoggio. Francesco, da subito, mostrò di voler scuotere le fondamenta di un sistema che rischiava di sclerotizzarsi. Le sue riforme, spesso osteggiate, mirarono a ridare trasparenza alle finanze vaticane e a decentralizzare il potere, concedendo maggiore spazio alle donne in ruoli decisionali, seppur senza rompere del tutto con la tradizione.

Ma se all’interno delle mura leonine il suo pontificato fu una battaglia condotta "con carità cristiana, quando possibile, ma con durezza, se necessario", all’esterno Francesco si trovò ad affrontare un mondo in fiamme. "La Terza guerra mondiale è già iniziata, a pezzetti", avvertì più volte, denunciando conflitti dimenticati e l’incapacità della politica di costruire pace. Fu il primo papa a non aver vissuto la Seconda guerra mondiale, eppure il primo a dover fronteggiare il ritorno della guerra totale in Europa, con l’invasione russa dell’Ucraina, e l’esplosione di violenza in Medio Oriente dopo il 7 ottobre 2023. Le sue implorazioni – "Vi chiedo in nome di Dio: fermatevi!" – risuonarono spesso inascoltate.