Urara Tsuchiya in mostra da ADA Project a Roma
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Con ironia, l’artista gioca anche sulla metafore di una società che cerca rifugio, dal virus come da altre minacce, e costruisce una Wunderkammer di oggetti e figure familiari eppure inquietanti, dove la leggerezza dell’allestimento (quasi un giardino zen), contrasta con i drammi concettuali che le opere evocano.
‒ Niccolò Lucarelli
È questo che Urara Tsuchiya (Giappone, 1979) vuole mostrare al pubblico, in tutta la sua banalità, ma anche nella sua drammaticità; con questa mostra romana, l’artista capovolge il suo consueto approccio, e dall’edonismo passa a riflettere sull’insostenibile leggerezza dell’essere, dove la memoria impone interrogativi sulle tempeste ormonali dell’amore e la banalità della “ripetizione”, che la lunga quarantena ha drammaticamente imposto all’umanità. (Artribune)
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Tutto questo discorso potrebbe essere forse sintetizzato dalla celebre frase attribuita all’architetto e designer tedesco Mies van Der Rohe: Less is more. Nell’immediato il valore artistico di un’opera non è infatti sempre relazionato alla sua commerciabilità. (We Wealth)
Il valore delle opere contemporanee è cresciuto del 7,5% annuo secondo il Deloitte Art & Finance Report e da marzo sono in aumento le partecipazioni ad aste oltre che gli acquisti di quadri e sculture. (Corriere della Sera)
E il revenge spending, sommato alla qualità a cui Il Ponte ci ha straordinariamente abituati, fa segnare un altro punto vincente alla casa d’aste milanese. Ottimi risultati anche per l’opera su carta di Hans Hartung (92.500 euro), per il Ritratto segreto di Mario Radice (41.250 euro) e per Ur-schrift ovvero Avant-testo, 19-3-01 di Irma Blank (26.250 euro). (ExibArt)
Una piacevole sorpresa è stata la visita del sindaco di Tribano Massimo Cavazzana, da sempre attento agli aspetti legati all’arte ed alla cultura, ma anche alla socialità ed alla crescita della persona. (RovigoOggi.it)
“Una delle cose che mi faceva felice in Egitto era il cinema”, afferma Nabil nella conversazione con André Aciman riportata in catalogo. Lo sa bene Youssef Nabil (Il Cairo, 1972), costretto a lasciare l’Egitto per inseguire i propri ogni, nel solco di una vena artistica che non avrebbe trovato linfa nel Paese d’origine. (Artribune)
I ricavati della galleria saranno devoluti a due associazioni LGBT italiane: Casa Famiglia Refuge LGBT e Plus – Persone LGBT+ sieropositive. (Senza Linea)