Sit-in dopo il suicidio alla Dogaia: "Basta morti in carcere". Appello al Governo: "Subito interventi, questa vergogna deve finire"

Sessanta. Il ventisettenne che sabato scorso si è impiccato nel reparto ‘media sicurezza’ della Dogaia, è il detenuto numero 60 che dall’inizio dell’anno ha trasformato la cella nella propria tomba. E’ un lutto senza fine, un abbraccio doloroso quello che idealmente stringe le carceri italiane con i detenuti che protestano, si ribellano, insorgono contro condizioni di vita obiettivamente difficili. (notiziediprato.it)

La notizia riportata su altre testate

Vittima un giovane di 27 anni, trovato in fin di vita da un agente e morto poco dopo l’arrivo all’ospedale di Prato (leggi). Continua a restare un tema centrale quello delle carceri italiane nelle quali, dall’inizio dell’anno a oggi, si contano sessanta suicidi tra i detenuti e sei tra gli agenti penitenziari. (notiziediprato.it)

“Si tratta del 60esimo suicidio di un detenuto nel corso dell’anno, cui vanno aggiunti 6 appartenenti alla Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Subito soccorso e condotto in ospedale, è spirato poco dopo. (Il Fatto Quotidiano)

, si è impiccato ieri sera nella sua cella della Casa Circondariale di Prato. Subito soccorso e condotto in ospedale, è spirato poco dopo. Si tratta del 60esimo suicidio di un detenuto nel corso dell’anno, cui vanno aggiunti 6 appartenenti alla Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. (UILPA Polizia Penitenziaria)

Siamo assuefatti all’inferno dei reclusi

La ragazza, francese ma con cittadinanza bosniaca, è stata salvata giusto in tempo dagli agenti della polizia penitenziaria. Aveva provato a impiccarsi e stava morendo soffocata. Genova. Una donna di 31 anni, detenuta nel carcere di Pontedecimo a Genova, ha tentato il suicidio. (Genova24.it)

Si allunga l’elenco dei suicidi nelle carceri italiane. Troppo gravi le condizioni del detenuto che è morto poco dopo l’arrivo all’ospedale Santo Stefano. (notiziediprato.it)

E anche la conta dei suicidi che si aggiorna velocemente non ci colpisce più. Ecco, forse – chissà – se iniziassimo a dare un nome un volto a quei nomi che non sono città, ma persone identificate con il carcere dove sono recluse, le nostre coscienze avrebbero un minimo di sussulto. (QUOTIDIANO NAZIONALE)