Europa, esercito comune e corpi civili di pace: un binomio necessario

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ESTERI

L’idea di un esercito comune europeo, tornata d’attualità con il progetto “Rearm Europe” promosso da Ursula von der Leyen, non può prescindere dalla parallela creazione di corpi civili di pace. La presidente della Commissione Europea ha annunciato che i Paesi membri dell’UE dovranno destinare il 2% del proprio PIL alla spesa militare, per un totale di 800 miliardi di euro, al fine di rinnovare le tecnologie belliche e rispondere alla nuova posizione statunitense sull’Ucraina. Una decisione che, se da un lato sembra rispondere alle esigenze di sicurezza dettate dal contesto internazionale, dall’altro solleva interrogativi sulle priorità dell’Unione, soprattutto considerando che il Patto di Stabilità, spesso invocato per limitare la spesa pubblica in settori come sanità e lavoro, in questo caso non verrà applicato.

Tuttavia, come già sottolineava Alex Langer oltre trent’anni fa, ogni transizione – che sia energetica, ambientale o, come in questo caso, geopolitica – richiede una conversione culturale. Langer sosteneva che la transizione energetica sarebbe stata possibile solo quando la gente l’avrebbe percepita non come un sacrificio, ma come un miglioramento della qualità della vita. Lo stesso principio, per quanto possa apparire utopistico in un momento di conflitto come quello attuale, potrebbe essere applicato alla transizione dalla guerra in Ucraina verso una tregua e una pace giusta. La costruzione di un esercito comune, dunque, non può essere disgiunta dalla promozione di strumenti civili per la risoluzione dei conflitti, che permettano di affrontare le crisi internazionali non solo con la forza, ma anche attraverso il dialogo e la mediazione.

Claudio Borghi, critico verso l’iniziativa “Rearm Europe”, ha definito il progetto “goffo”, sostenendo che il suo obiettivo sia palesemente evidente e che molti dovrebbero riconoscerne le implicazioni. Tuttavia, al di là delle polemiche, resta il fatto che l’Europa si trova oggi di fronte a una scelta cruciale: rafforzare la propria presenza internazionale senza perdere di vista i valori fondativi che ne hanno guidato la nascita. I padri fondatori dell’Unione, infatti, vedevano nel processo di unificazione delle istituzioni europee non solo un mezzo per garantire stabilità economica, ma anche uno strumento per promuovere pace e giustizia a livello globale.

In questo contesto, la costruzione di un’Europa più forte non può limitarsi a un aumento della spesa militare. È necessario, piuttosto, un “deciso e creativo” passo in avanti, come suggerito da chi vede nell’unificazione delle istituzioni europee la chiave per rispondere alle attese di pace e giustizia dei popoli. Un esercito comune, seppur importante, non basta: servono anche corpi civili di pace, capaci di intervenire nelle crisi internazionali con strumenti alternativi alla forza, promuovendo il dialogo e la riconciliazione.