Il caso Garlasco e le ombre sul test del Dna: il genetista De Stefano difende le sue conclusioni
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Francesco De Stefano, genetista che nel 2013 si è occupato delle analisi forensi relative all’omicidio di Chiara Poggi, difende le sue conclusioni in merito al materiale genetico rinvenuto sulle unghie della vittima. Intervistato dall’Adnkronos, De Stefano ha spiegato che il materiale analizzato era in gran parte degradato, mescolato con abbondanti tracce di sangue della giovane, e quindi non quantificabile né comparabile. “Le linee guida – ha sottolineato – indicano che, se un primo risultato appare dubbio e un secondo tentativo non lo conferma, è preferibile evitare interpretazioni avventate. I risultati erano inattendibili”.
Queste dichiarazioni arrivano nel contesto della nuova indagine su Andrea Sempio, amico di Marco Poggi, fratello di Chiara, e ora indagato per concorso in omicidio insieme ad Alberto Stasi, già condannato per il delitto. Sempio è stato sottoposto a un prelievo coattivo del Dna a Milano, una mossa che ha scatenato polemiche tra gli avvocati. Massimo Levati, uno dei legali che assistono Sempio, ha definito l’indagine del 2017 una “macchinazione”, sostenendo che il Dna del suo assistito sia stato prelevato clandestinamente dagli investigatori legati alla difesa di Stasi. Lo studio legale Giarda, che rappresenta Sempio, ha annunciato una querela, ribadendo la tranquillità del cliente, convinto della propria innocenza.
Intanto, a Lucca, durante un incontro organizzato dall’Inner Wheel Club, la criminologa Roberta Bruzzone ha affrontato il tema dei femminicidi e della manipolazione affettiva, senza però entrare nel merito delle recenti evoluzioni del caso Garlasco. Alla domanda su possibili ribaltamenti delle sentenze, Bruzzone ha espresso scetticismo, sottolineando la complessità di simili processi.
De Stefano, raggiunto telefonicamente dall’ANSA, ha ribadito le sue perplessità riguardo al test del Dna su Sempio, ricordando che, durante le indagini del delitto di Garlasco, erano emerse tracce di due o tre persone, forse prelevate da un mouse. “Quel Dna – ha affermato – non è utile”. L’esperto, all’epoca direttore della Medicina legale dell’Università di Genova, ha confermato quanto già sostenuto nelle sue perizie, che contribuirono alla condanna di Stasi.