Filippo Turetta rischia l’ergastolo: parola alla difesa. “Il femminicidio di Giulia Cecchettin non era premeditato”

Filippo Turetta rischia l’ergastolo: parola alla difesa. “Il femminicidio di Giulia Cecchettin non era premeditato”
Articolo Precedente

precedente
Articolo Successivo

successivo
il Resto del Carlino INTERNO

– Ieri davanti alla corte d’Assise di Venezia, il pm Andrea Petroni ha chiesto l’ergastolo per Filippo Turetta, il 22enne reo confesso del femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Oggi, parola alla difesa: agli avvocati del giovane – Giovanni Caruso e Monica Cornaviera – l’arduo compito di evitargli la massima pena. È il momento della versione di Turetta: verranno ricostruite le dinamiche di quanto accaduto l’11 novembre 2023. (il Resto del Carlino)

Su altre fonti

«Voi non dovrete emettere una sentenza giusta, dovrete pronunciare una sentenza secondo legalità», è la richiesta di Giovanni Caruso, avvocato di Filippo Turetta, davanti alla Corte d’Assise di Venezia, schierata, «E la legalità vi impone di giudicare Filippo Turetta con una mano legata dietro la schiena, che non risponde alla legge del taglione. (La Stampa)

Una serie di motivi, che vanno dai difetti caratteriali ai ragionamenti violenti, agli atteggiamenti avuti con lei durante le normali discussioni di coppia, che così normali non erano. Quindici motivi per lasciare Filippo Turetta. (corriereadriatico.it)

E anzi forse – come fanno tanti ragazzi di oggi – se avesse potuto si sarebbe tirato su il cappuccio della felpa rosso bordeaux (un caso che fosse proprio del colore simbolo della lotta alla violenza sulle donne?) che indossava, per scomparire. (Corriere della Sera)

Femminicidio Giulia Cecchettin, gli avvocati di Turetta: “L’ergastolo è degradante, non rieduca"

ANSA (Avvenire)

Articolo in aggiornamento I punti chiave La premeditazione (il Giornale)

Non sono presenti in aula Gino Cecchettin, papà di Giulia, e la nonna della vittima Carla Gatto. Gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviero proveranno a evitare la pena massima per il loro assistito, detenuto nel carcere di Montorio, a Verona. (la Repubblica)