Le donne in corteo contro la violenza gridano i nomi delle vittime: “Per Giulia e le altre”

Le donne in corteo contro la violenza gridano i nomi delle vittime: “Per Giulia e le altre”
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La Repubblica INTERNO

BOLOGNA – Hanno cantato i nomi delle ragazze, delle donne e delle bambine come Aurora, la giovanissima tredicenne di Piacenza, uccise per mano di mariti e fidanzati, in una versione riadattata della “Cancion sin miedo” sudamericana. Davanti a una marea umana di cinquemila teste, in piazza VIII Agosto, la marea fucsia ha giurato «se toccano una rispondiamo tutte». Hanno agitato le chiavi, i corpi,… (La Repubblica)

Ne parlano anche altre fonti

ROMA — Niente silenzio ma tanto rumore e vernice di colore nero, viola, giallo sulle strade e le panchine rosse. Per Giulia Cecchettin, ma anche per tutte le altre donne. Le ragazze e i ragazzi di Bruciamo tutto hanno inaugurato così il mattino del 25 novembre, l'inizio della giornata contro la violenza sulle donne. (la Repubblica)

La marea fucsia torna in piazza a Roma. Lo striscione che apre la manifestazione recita “Disarmiamo il patriarcato”, mentre su un altro appeso al lato di uno dei due tir presenti nel corteo “La vergogna deve cambiare lato”. (Il Sole 24 ORE)

Una marea fucsia, potente e rumorosa, per dare voce a chi non ha voce, a quelle circa cento donne che dall’inizio dell’anno sono state uccise in quanto donne, molte delle quali per mano di quell’uomo che diceva di amarle. (Corriere della Sera)

«È stato il vostro bravo ragazzo»: a Milano il corteo fucsia riempie le strade e grida il suo no alla violenza sulle donne

Fischietti, urla, cartelloni. Un grido comune: “Libere di camminare, libere di desiderare, libere di essere libere”. (Gazzetta di Parma)

Oggi, 25 novembre, è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Dopo i cortei del weekend – a Roma hanno sfilato in 150 mila – altre piazze d’Italia sono pronte a riempirsi. (la Repubblica)

«Era importante esserci, non è il primo anno che vengo e non smetterò di farlo perché dobbiamo far sentire la nostra voce. «Sono qui perché non sopporto la cultura del possesso». (Vanity Fair Italia)