La Cina grande burattinaio del golpe birmano

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L'HuffPost ESTERI

A quel lunghissimo confine nordorientale che separa l’ex Birmania da un vicino molto potente e molto ingombrante: la Cina.

Qualcosa in quell’incontro sembra aver probabilmente portato il leader militare golpista a credere che la Cina sarebbe stata disposta a farsi avanti per il suo vicino birmano, insomma.

E l’incontro, il mese scorso, tra il massimo diplomatico cinese, Wang Yi, e il generale golpista Min Aung Hlaing, potrebbe essere stato il punto cardine nel determinare il colpo di Stato. (L'HuffPost)

Se ne è parlato anche su altre testate

Ma condividere il potere con un esercito che mantiene enormi interessi economici, e non intende farsi controllare dal governo civile, ha offuscato la stella di Aung San Suu Kyi. Si parlò di "primavera birmana", culminata nel trionfo elettorale di Ang San Suu Kyi nel 2015, con lei a capo del governo e scene di giubilo davanti a "mamma Suu" che coronava il sogno di un popolo. (Ticinonline)

Raccontai su HuffPost dei primi silenzi colpevoli di Aung San Suu Kyi e di come la Birmania stava cambiando. Il popolo di Aung San Suu Kyi chiamato ad opporsi. (L'HuffPost)

Dopo una parentesi democratica il Paese sembra terminata con gli arresti del presidente U Win Myint, della consigliera di Stato, Aung San Suu Kyi e di decine di deputati della NLD. Una giornata storica, che avrebbe dovuto formalizzare i risultati delle elezioni dello scorso 8 novembre, quando la NLD di Aung San Suu Kyi aveva ottenuto l’83 per cento dei seggi disponibili. (Sputnik Italia)

REUTERS / Stringer Prime immagini dalla capitale del Myanmar dopo la dichiarazione del governo militare. Le azioni dell'esercito del Myanmar sono state abbastanza inaspettate, sebbene i militari siano sempre rimasti una certa minaccia dall'inizio della democratizzazione nel 2011, controllano ancora la situazione. (Sputnik Italia)

Ma qui intendo parlare di una storia che ho vissuto in Myanmar durante il mio mandato all’ONU, e che ricordo ancora con una certa emozione. (L'AntiDiplomatico)

Gli Stati Uniti abolirono le sanzioni contro la Birmania nel decennio scorso sulla base dei progressi verso la democrazia; siamo pronti a rivedere quella decisione». Ma la campagna occidentale sui diritti dei Rohingya potrebbe essere stata fatale: nell’indebolire la premier democratica privandola di appoggi concreti, e nello spingere nuovamente i militari verso la Cina (La Repubblica)