"La civetta e il lupo" di Martina D'Adamo
Comunicato Precedente
Comunicato Successivo
“Sofia sogna il bosco.
Il bosco addormentato, sotto le pendici del Margoi, e la luna, incastrata fra le montagne, che stana animali intirizziti.
Lo conosce bene quel tratto di bosco, perché ci è stata, da viva, sveglia, ragazza, in quell’altra parte dell’esistenza che sta perdendo peso, dolorosa, forse reale.
Riconosce la guerra infinita di tronchi, che svettano a inseguire la luce, rami che lottano per potersi aprire, allungare, ricoprire di aghi taglienti e incatramarsi di resina, infinite punte di spada appena sotto la grande montagna che respira. Lo sanno i vecchi e lo sa anche lei che è da lì che viene il freddo, dall’alito ghiacciato di quelle dannate lingue bianche, che fa tremare il bosco, lo attraversa come sangue nelle vene, infine esonda nella radura soffocata dove scroscia il fiume e si affilano le felci.”
Martina D’Adamo sceglie per il suo primo romanzo un’ambientazione montana, quella delle Alpi friulane, che frequenta e ama da oltre vent’anni.
A Pradosio, comunità di poche anime sul confine fra Austria, Italia e Slovenia, scompare Sofia, una ragazza riservata e semplice, di cui quasi nessuno sembra sentire la mancanza.
Eppure, tutti, in paese, sanno cosa le è successo o, almeno, ne sanno una loro versione.
Al brigadiere Antonio Carrieri spetta l’arduo compito di trovare un filo conduttore nell’intricata matassa di credenze e pregiudizi, versioni spesso e volentieri distorte dei fatti, ma che ugualmente nascondono una porzione di vero.
E intanto la montagna, protagonista assoluta del romanzo, respira accanto agli uomini, occulta crimini, sussurra segreti inconfessabili, confonde le menti di questa manciata di uomini e donne indurita dal clima e messa duramente alla prova dalla storia.
Addentrandosi nella narrazione, si ha la vivida impressione di farsi strada attraverso sentieri soffocati dalla vegetazione, nelle orecchie lo scrosciare di un fiume, sulle guance il freddo pungente dell’autunno.
Il lettore rimane folgorato dalla grande bellezza delle vette, ma gli resta addosso anche la malinconia di una valle chiusa e del tempo spesso grigio, che condanna ad una vita in salita.
Un giallo ambientato in montagna, quindi?
Non proprio e non solo, perché le indagini aprono una breccia, costringono il lettore ad ascoltare storie di vite diverse e lontane dal mondo rutilante e caotico della città. Esistenze che trascorrono più lentamente, in salita e che, altrimenti, verrebbero cancellate dall’incedere degli anni, semplicemente sparirebbero, come la neve a primavera, che si scioglie senza lasciare alcuna traccia.
Ufficio Stampa
Martina D'Ada
me stessa (Leggi tutti i comunicati)
Italia