L’ACETO A MODENA: ACETO BALSAMICO E ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE

L'Aceto Balsamico di Modena e l'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena sono due prodotti eccellenti dell'agroalimentare italiano. Una produttrice racconta le differenze e le peculiarità dei due aceti. Tempi di produzione, metodi di produzione, materie prime danno vita a questi prodotti tipici dell'Emilia.
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Alonte, (informazione.it - comunicati stampa - cibi e bevande) “Certamente, l’aceto è il vanto dei modenesi e di tutta la zona”: Marina Spaggiari, titolare dell’acetaia Neromodena, intervistata dallo staff di Scuderia Italia conferma l’orgoglio degli emiliani per uno dei prodotti agroalimentari di punta della regione.  
Il “tradizionale” li distingue
Per capire l’aceto a Modena è fondamentale non confondere l’Aceto Balsamico con l’Aceto Balsamico Tradizionale: due prodotti del tutto differenti. Cambia il metodo, sono diverse le materie prime. Entrambi sono regolati da precise norme e sottoposti a severi controlli. La somiglianza fra i due appellativi, inevitabilmente, è fonte di disorientamento per il consumatore finale.
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (Dop) – “È quello fatto con il metodo più antico, come usavano i nostri antenati”, racconta Spaggiari. Se ne trovano tracce in documenti che risalgono addirittura all’XI secolo, ma è sotto i Duchi d’Este che conosce un deciso sviluppo. L’aceto balsamico tradizionale resta a maturare nei barili per molti anni ed è tipico non solo di Modena ma anche di Reggio Emilia. “Viene utilizzato esclusivamente mosto cotto – si cuoce in questo periodo dell’anno – , che sarà lasciato fermentare e quindi messo nei barili. Attraverso i rincalzi che vengono fatti una volta all’anno da barile a barile, manualmente, si trasforma: acquisisce una certa acidità ma rimane molto morbido al palato”. L’acetaia è organizzata in batterie di botti di diverse dimensioni: man mano che l’aceto si concentra, una parte va a riempire un barile meno capiente. Nella botticella più piccola, a valle, l’aceto ha raggiunto la maturazione prevista con gli aromi, i profumi e la densità che lo caratterizzano. Quando ha 12 anni si chiama Affinato, se raggiunge il quarto di secolo è Extratravecchio. Una volta pronto l’Aceto Balsamico Tradizionale non viene messo direttamente in commercio. Deve essere conferito al consorzio di tutela e deve passare l’esame di una commissione di assaggiatori.
L’Aceto Balsamico di Modena (Igp) – Si tratta di una miscela di mosto concentrato – anche cotto – e aceto di vino. L’aceto in questo caso conferisce fin da subito l’acidità: non occorre aspettare che avvenga la trasformazione chimica degli zuccheri ed il processo è molto più veloce. E’ possibile aggiungere una certa quantità di caramello per ottenere una tonalità più scura, ma – spiega Spaggiari – il consumatore si orienta sempre più spesso verso aceti privi di coloranti. Secondo il disciplinare deve restare almeno 60 giorni nelle botti prima di essere inviato all’ente che controlla la qualità. I produttori possono lasciare l’aceto a riposo per periodi più lunghi e mettere così sul mercato diverse varianti.  
Distinguere le bottiglie
Le regole trattano anche l’aspetto dell’aceto tradizionale che deve essere imbottigliato dal consorzio di tutela, rigorosamente in ampolle a base rettangolare da 100 ml progettate da Giorgetto Giugiaro. L’aceto balsamico Igp invece è imbottigliato dagli stessi produttori ed è solo prescritto il volume minimo (250 ml).  
L’acetaia e le botti
L’aceto tradizionale Dop passa il tempo principalmente a riposare. L’unica operazione da compiere, una volta preparato, è il rincalzo – il travaso che serve a concentrare il prodotto pregiato nei barili più piccoli – una volta all’anno. Il lavoro è invece più costante dove si produce l’aceto Igp. L’aceto tradizionale Dop è conservato in barili, generalmente fino a 40-50 litri, che rilasciando tannini e aromi contribuiscono al sapore e al colore. “Il disciplinare prevede che ogni batteria impieghi almeno 3 tipi di legno – spiega Spaggiari -. Praticamente sempre si usa il rovere, poi il castagno che fa parte della tradizione di questa zona e dà il bel colore bruno all’aceto maturo, quindi legni di alberi da frutto, gelso, ciliegio, melo. Si possono usare barriques dismesse dai protuttori di vino, sono molto buone e già affinate”. Per quanto riguarda l’aceto Igp non è richiesta una differenziazione delle essenze: trascorre un tempo molto minore in tini più grandi e non c’è una rilevante cessione di sapori e profumi.  
L’uva fa la qualità
Quali sono i fattori più importanti per ottenere un buon aceto? Secondo Spaggiari “per l’aceto tradizionale Dop sicuramente predomina la qualità delle materie prime. Se sono buone in partenza si è a metà dell’opera, altrimenti è difficile recuperare con le operazioni successive. Conta il tipo di barili, ma per il resto le procedure sono stabilite in modo molto preciso dal disciplinare che rende omogeneo il prodotto. Discorso diverso per l’aceto Igp, qui accanto alla materia prima assumono importanza le lavorazioni che sono più complesse e danno origine ad una gamma più ampia di qualità”.  
Un prodotto di nicchia conosciuto nel mondo
“L’Aceto Balsamico tradizionale di Modena è estremamente apprezzato – conclude Marina Spaggiari – il consumatore riconosce che è qualcosa di davvero buono. Resta comunque un prodotto di nicchia a causa del prezzo, perché i costi della produzione sono rilevanti”. È un prodotto tipico italiano conosciuto fuori dallo Stivale e “il cliente estero che riesce a visitare un’acetaia tradizionale rimane molto colpito dal metodo di produzione e dal risultato finale”.
(Fonte: Staff Scuderia Italia, www.scuderia-italia.it)
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