Manfreud - Machine Symphony

Il nuovo disco di Manfreud ci riporta alla grande musica strumentale.
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Milano, (informazione.it - comunicati stampa - editoria e media)

Già l’uso del nome d’arte è un primo importante segnale, in quanto il riferimento a Freud e alla sua concezione psicanalitica conferisce un modo di affrontare il discorso musicale in cui le memorie della storia propria e altrui assumono valore di fondazione del percorso artistico; non solo, ma anche il memorabile testo freudiano sul motto di spirito ci fa comprendere come sia possibile essere creativi ma senza la minima pesantezza di procedimento, tanto da far venire in mente il ‘lieve gioco su cose serie’ con cui George Bernard Shaw definiva le sue commedie, ossia affrontando con
leggerezza ciò che non è leggero e tantomeno vacuo.

Colpisce innanzitutto rilevare che Roberto Manfredi sembra negare di proposito tutte le procedure con cui oggi si (s)vende la musica: niente foto di copertina immerse nel Photoshop, niente motivi pensati appositamente per la programmazione radiofonica, niente ammiccamenti al pubblico più
facilone, ma solo brani di lunghezza variabile nei quali si riflette un intero mondo che Manfredi, come pochissimi altri in Italia, ha vissuto in prima persona. Un altro segnale è dato dai due omaggi a Ryūichi Sakamoto e Terry Riley, numi dell’avanguardia in grado di assorbire le più diverse proposte culturali, ma a nostro giudizio bisogna aggiungere un altro contributo, ossia lo storico album Music For Zen Meditations di Tony Scott, che negli anni della controcultura in cui Manfredi iniziò ad operare ebbe una vastissima diffusione davvero trasversale (quando conobbi personalmente Tony Scott a Milano nel dicembre 1990, lui mi rivelò essere quello il disco che gli rendeva di più).

Di conseguenza, la chiave di volta per capire l’intero progetto sta proprio nella ‘meditazione’ in senso sia psicanalitico sia zen, ossia nel portare a galla elementi del proprio vissuto per riproporli in maniera quintessenziata, eludendo qualunque idea di nostalgia per conservare il loro valore di testimonianza ancora attuale in un’epoca segnata dalla memoria personale sempre più corta: in questo modo, riff di ascendenza R’n’B o rock, interventi vocali che evocano il sommo e mai abbastanza rimpianto Demetrio Stratos- non è casuale la presenza di Patrizio Fariselli che insieme agli altri Area aprì il cervello a molte persone incluso chi scrive-. un assolo di sax intriso di memoria jazzistica e non solo, si impongono all’ascolto nel loro intatto valore musicale quasi a ricordarci di quanta storia siamo debitori, non escluso un intervento sarcastico alla Eugene Chadbourne in The World Is A Beautiful Place. Lo stesso uso dell’intelligenza artificiale, di cui Manfredi è tra i più attivi propugnatori in campo artistico, dimostra quanto siano ampie le possibilità di questa tecnica purché la si sappia usare nella maniera giusta e senza inutili passatismi o marchiane cantonate, sull’esempio di quel cronista del Literary Digest il quale nel 1912 profetizzò che l’automobile non sarebbe diventata mai, naturalmente, comune come la bicicletta…


Un ultimo dettaglio: il CD si chiude con un richiamo al brano di apertura come in un’altra pietra miliare dell’avanguardia, The End Of An Ear di Robert Wyatt, ma nel caso di Roberto Manfredi non si può parlare di cerchio, bensì di nastro di Moebius mai conchiuso ma sempre aperto a nuove ricerche e nuove possibilità, per cui aspettiamoci sempre qualcosa di inaspettato da questo artista. 

Francesco Chiari

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