San Luca e Poggiomarino sciolti per infiltrazioni mafiose, il governo interviene

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Il Consiglio dei ministri ha deliberato lo scioglimento dei comuni di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, e di Poggiomarino, nel Napoletano, accertando pesanti condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Una misura drastica, ma non inedita per entrambi i territori, che rientra in una strategia di contrasto alle infiltrazioni mafiose negli enti locali.

San Luca, paese-simbolo della ’ndrangheta, era già commissariato dopo che alle elezioni di giugno nessun candidato si era presentato per la carica di sindaco. Bruno Bartolo, primo cittadino uscente eletto nel 2019 in seguito a un precedente scioglimento per mafia, aveva scelto di non ripetere l’esperienza, lasciando un vuoto di rappresentanza che ha reso inevitabile l’intervento dello Stato. La storia del comune calabrese, da anni al centro di indagini per il radicamento delle cosche, dimostra quanto sia difficile spezzare il legame tra politica e clan.

A Poggiomarino, invece, la decisione è arrivata mentre in tribunale a Torre Annunziata si svolgeva un’udienza del processo che vede imputati l’ex sindaco Maurizio Falanga, il suo vice Luigi Belcuore e il commerciante Franco Carillo, accusati di legami con la camorra. Il governo, presieduto temporaneamente da Antonio Tajani, ha agito su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, motivando lo scioglimento con «accertati condizionamenti» che avrebbero distorto l’attività amministrativa.

Entrambi i comuni passeranno ora sotto la gestione di commissioni straordinarie per un periodo compreso tra i 18 e i 24 mesi, un lasso di tempo necessario – almeno nelle intenzioni – per garantire una ripulitura degli apparati e una riorganizzazione libera da influenze esterne. Quello di Tremestieri Etneo, in provincia di Catania, completa il quadro degli enti colpiti dall’ultima ondata di interventi anticorruzione.