Tim torna italiana: Poste Mobile saluta Vodafone dal 2026 mentre il settore cerca una via d'uscita dalla crisi

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ECONOMIA

Quello che si è consumato negli ultimi giorni non è un semplice passaggio di azioni, ma una svolta epocale per il mercato delle telecomunicazioni italiane, che da anni naviga in acque turbolente. Con l’acquisto del 15% di Tim dai francesi di Vivendi, Poste Italiane ha consolidato la sua posizione come primo azionista, raggiungendo il 24,81% del pacchetto e riportando così il controllo della ex monopolista sotto l’ala dello Stato, quasi tre decenni dopo la privatizzazione. Un’operazione da 684 milioni – che diventa 850 considerando il precedente scambio di azioni con Nexi – che segna il ritorno di una presenza pubblica massiccia in un settore strategico, ma profondamente ferito.

I numeri, del resto, parlano chiaro: tra il 2010 e il 2023, il fatturato complessivo delle telecomunicazioni in Italia è crollato del 35%, passando da 41,9 a 27,2 miliardi di euro, con la telefonia mobile – strangolata da una guerra al ribasso dei prezzi – che ha perso quasi la metà del suo valore (-47%). A farne le spese è stato anche l’occupazione, ridotta del 30% con circa 40 mila posti di lavoro cancellati. Un declino che ha spinto verso un ripensamento del modello, culminato nell’ingresso di Poste Italiane nel capitale di Tim, con l’obiettivo dichiarato di sfruttare sinergie tra servizi postali, finanziari e di connettività.

Matteo Del Fante, amministratore delegato di Poste, non ha usato mezzi termini definendo l’operazione «un passo importante», sottolineando come il gruppo abbia triplicato il suo valore in otto anni, passando da 8 a 27 miliardi di capitalizzazione. Ma la partita vera si giocherà nei prossimi anni, a partire dal 2026, quando Poste Mobile – oggi legata a Vodafone – migrerà sulla rete Tim, abbandonando l’accordo con il colosso britannico. Una mossa che, se da un lato rafforza l’integrazione verticale del gruppo, dall’altro solleva interrogativi sulla capacità di Tim di reggere la competizione in un mercato sempre più saturo e con margini ridotti all’osso.