Gli ultimi giorni di Thiago Motta alla Juventus: tra saluti formali e silenzi significativi

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Thiago Motta, che aveva scelto Cascais, in Portogallo, per staccare dalla routine bianconera durante i giorni liberi, si è trovato a gestire da lontano le ultime ore del suo mandato sulla panchina della Juventus. L’esonero, ormai inevitabile, è arrivato mentre il tecnico italo-brasiliano era ancora all’estero, lontano dal trambusto torinese, in un contesto che avrebbe dovuto essere di riposo ma che si è trasformato in un’anticamera dell’addio.

Al suo rientro, Motta ha incontrato Igor Tudor, il successore designato, in un passaggio di consegne formale, quasi un rituale obbligato in questi casi. Nonostante i contrasti con Cristiano Giuntoli e Maurizio Scanavino – tensioni che hanno contribuito a rendere insostenibile la sua permanenza – il tecnico ha voluto ringraziare pubblicamente la proprietà ("per l’opportunità di far parte di un club così importante"), la dirigenza e i giocatori, ai quali ha riconosciuto impegno e professionalità. Un gesto di stile, che però non cancella il silenzio imbarazzato della squadra, mai così distante dall’allenatore come in queste ultime settimane.

La moglie di Motta, commentando l’accaduto, ha parlato di una "benedizione", lasciando intendere che l’esperienza juventina, pur breve, possa aver esaurito il suo ciclo. Intanto, Tudor si prepara a imprimere la sua identità a una squadra che, sotto la gestione precedente, aveva mostrato lacune caratteriali e tattiche. Il croate, legato alla Juve fino al 2026 – con clausole che ne condizionano la permanenza ai risultati – dovrà ridare smalto a un gruppo che ha perso mordente.

Tra i giocatori, alcuni potrebbero trovare nuova collocazione: Kenan Yildiz, Randal Kolo Muani e Nicolás González sono tra quelli che potrebbero beneficiare di un cambio di ruolo, in un sistema che Tudor ha sempre modellato su solidità e aggressività. Caratteristiche che, in passato, lo hanno reso un simbolo della juventinità, quella stessa che oggi gli viene chiesta di riportare in campo. Quella grinta, per esempio, che lo portò a segnare al 93’ contro il Deportivo La Coruña nel 2003, dopo due anni di infermeria, regalando ai bianconeri la qualificazione in Champions.