Queer, la recensione del film di Luca Guadagnino con Daniel Craig

Queer, la recensione del film di Luca Guadagnino con Daniel Craig
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Io sono l’amore gay: più che il sesso, la droga e Daniel Craig, in Queer c’è Luca Guadagnino Luca Guadagnino realizza il sogno di portare su schermo il romanzo autobiografico di Burroughs con un film più personale del precedente Challengers: il risultato è forte, carismatico, che non lascia indifferenti quando fa centro e quando sbaglia. Chi siamo quando siamo soli a letto, in un letto in cui vorremmo ci fosse qualcuno? Come ci cambia la presenza di una persona amata, che ci ama o che si limita a lasciarsi amare? È a queste domande sull’amore che tenta di rispondere il regista italiano vivente più innamorato di questo sentimento, più impegnato a raccontarlo attraverso il desiderio, i corpi. (Gamesurf)

Ne parlano anche altri media

Luca Guadagnino sostiene che Queer è il suo film più personale. Tutto questo spiega perché il testo di Burroughs – scrittore a… (la Repubblica)

Un libro scandalo trova nuova vita in un adattamento per il cinema di Luca Guadagnino con protagonista Daniel Craig, presentato in concorso Venezia. La recensione di Mauro Donzelli del percorso di avvicinamento di due anime sole in amore vissuto con desiderio e libertà senza condizionamenti. (ComingSoon.it)

Il Messico di Queer è una cascata di petali rosa che come in un musical sospendono nell’istante di un incantesimo il respiro «reale» del mondo. Queer planato sul Lido come una scossa liberatoria in un concorso veneziano incapace per lo più di sussulti aggiunge un frammento – forse uno dei più intensi e personali – all’«autobiografia» del regista fatta di cinema, di amori, di. (il manifesto)

Queer, la recensione del film di Luca Guadagnino con Daniel Craig in gara alla Mostra di Venezia

L’incontro/colpo di fulmine con Eugene Allerton, un giovane studente appena arrivato in città, apre a William un mondo di possibilità, e gli mostra come, finalmente, può stabilire anche lui una connessione intima con qualcuno. (Cosmopolitan)

Così François Truffaut ne Il cinema secondo Hitchcock teorizzava il “grande film malato”: “Un capolavoro abortito … che soffre generalmente di una dose eccessiva di sincerità, che, paradossalmente, lo rende chiaro agli aficionados e più oscuro al pubblico abituato a mandar giù delle misture nel cui dosaggio prevale l’astuzia piuttosto che la confessione diretta”. (cinematografo.it)

Il regista di "Chiamami col tuo nome" firma una lisergica e appassionata trasposizione cinematografica del romanzo semi-autobiografico scritto da William Burroughs. Tra eroina, ayahuasca, metzcal e tequila, un allucinante viaggio al termine della notte. (Sky Tg24 )