Crisi dell'auto europea, un ripensamento necessario

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ECONOMIA

La crisi che sta colpendo l'industria automobilistica europea non è semplicemente una questione di mercato o di domanda in calo. È il risultato di una strategia che, per troppo tempo, si è basata su un'innovazione superficiale, focalizzata su ritocchi marginali ai prodotti esistenti, anziché su un ripensamento strutturale del settore. La scadenza del 2035 per la cessazione della produzione e vendita delle vetture ad energie fossili, accettata dai costruttori, ha imposto grandi investimenti per farvi fronte. Tuttavia, la crisi attuale richiede un cambiamento più profondo e radicale.

In Italia, la produzione di automobili è in costante declino da almeno 35 anni, con una riduzione significativa del numero di occupati nel settore e una contrazione della percentuale di contributo al PIL nazionale. Questo stato di incertezza, ormai strutturale, sembra difficile da superare. Le dimissioni di Carlos Tavares da CEO di Stellantis rappresentano solo l'ultimo elemento di una crisi che ha radici profonde. La riorganizzazione e la razionalizzazione delle associazioni europee dei concessionari Stellantis, riunite ad Amsterdam, sono al centro del dibattito, con l'intervento di Jean-Philippe Imparato, responsabile dei mercati dell'Europa Allargata.

La crisi dell'auto europea ci interroga sul destino di quello che è stato, sino ad oggi, l'asse portante dell'industria del Vecchio continente. I dazi e i propositi di allentare i vincoli ambientali non sembrano sufficienti a frenare la caduta. È necessario ripensare il modello industriale per competere in un mercato globale sempre più competitivo e in rapida evoluzione. La crisi attuale potrebbe rappresentare un'opportunità per un cambiamento radicale, ma richiede una visione a lungo termine e un impegno concreto da parte di tutti gli attori coinvolti.