Ilva di Taranto, il futuro dell'acciaieria tra privatizzazioni e spezzatino

- Il destino dell'ex Ilva di Taranto, ora Acciaierie d'Italia, è appeso a un filo. Venerdì 20 settembre scadranno i termini per la presentazione delle manifestazioni di interesse per la vendita degli asset dell'acciaieria. Sono tredici i potenziali investitori che hanno risposto all'offerta lanciata a fine luglio dai commissari incaricati dell'amministrazione straordinaria: Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli.

Tra i pretendenti per l'intero gruppo spiccano il gruppo ucraino Metinvest, le indiane Vulcan Green Steel e Steel Mont, e la canadese Stelco. Altri, come le italiane Marcegaglia e Arvedi, sembrano più interessati ai singoli asset. Anche il colosso giapponese Nippon Steel ha mostrato interesse, avviando contatti con il governo nelle scorse settimane.

La vendita dell'ex Ilva rappresenta un nodo cruciale per il governo Meloni, che punta a incassare circa 20 miliardi di euro. La scelta di privatizzare l'acciaieria riflette una convinzione radicata nella cultura politica italiana: l'inefficienza del settore pubblico e la necessità di ricorrere alle privatizzazioni. Tuttavia, la difesa dell'italianità delle imprese rimane un tema centrale, come dimostra la nuova denominazione del Ministero del Made in Italy.

La questione dell'ex Ilva non riguarda solo l'economia, ma anche la geopolitica. Le regioni meridionali offrono condizioni di stabilità geopolitica ed economica, sono prossime ai maggiori centri economici europei e al Mediterraneo, e dispongono di una forza lavoro sottoutilizzata e di poli scientifici di qualità. Inoltre, rappresentano un mercato di sbocco con 20 milioni di abitanti.

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