Netanyahu tra due fuochi: Gaza e i sindacati

Benjamin Netanyahu si trova a fronteggiare una doppia crisi: da un lato, il conflitto esterno con Hamas a Gaza, guidato da Yahya Sinwar; dall'altro, la crescente tensione interna nello Stato ebraico, dove i sindacati, sostenuti dai partiti di opposizione e dalle famiglie degli ostaggi, hanno dichiarato uno sciopero generale per paralizzare il Paese.

Hamas ha elogiato, senza rivendicare, l'attacco in cui sono stati uccisi tre agenti israeliani nei pressi di Hebron. L'organizzazione ha descritto l'attacco come una "risposta naturale" alla "guerra genocida" nella Striscia di Gaza e ai "crimini sionisti" in Cisgiordania. Hamas ha invitato i residenti della Cisgiordania a bloccare le strade utilizzate dai coloni israeliani e a sparare contro chiunque porti un'arma.

La massiccia operazione militare di Israele in Cisgiordania, iniziata il 28 agosto, è la più importante dal 2002, durante la Seconda Intifada. Centinaia di soldati, poliziotti e veicoli stanno setacciando varie città della West Bank, tra cui Jenin, Tulkarem, Nablus e Tubas. Questo territorio, secondo l'ONU e la comunità internazionale, spetta ai palestinesi, ma è ancora in gran parte sotto il controllo israeliano.

Nel frattempo, in Israele, i sindacati hanno dichiarato uno sciopero generale, appoggiati dai partiti di opposizione e dalle famiglie degli ostaggi. L'obiettivo è costringere Netanyahu a fare concessioni, paralizzando il Paese. La situazione interna è resa ancora più complessa dalla pressione internazionale e dalle critiche alla gestione del conflitto con Hamas.

Netanyahu si trova quindi a dover gestire una crisi su due fronti, con il rischio di vedere il suo governo indebolito sia dall'interno che dall'esterno. La situazione richiede decisioni rapide e strategiche per evitare un'escalation ulteriore e per cercare di riportare stabilità nel Paese.

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