La lotta per il diritto al suicidio assistito in Italia: il caso di Ines

Ines, una donna di 51 anni affetta da sclerosi multipla, ha recentemente scelto di porre fine alla sua vita in Svizzera con l'aiuto dei volontari di Soccorso Civile. Questo caso ha riacceso il dibattito sul diritto al suicidio assistito in Italia.

Ines, il cui vero nome è stato mantenuto anonimo per rispettare la sua privacy, era malata da tempo di sclerosi multipla. Nonostante avesse presentato una richiesta all'Azienda sanitaria per il suicidio assistito, non aveva ancora ricevuto risposta. Di conseguenza, ha deciso di recarsi in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale, per porre fine alla sua vita.

L'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica ha svolto un ruolo chiave nel caso di Ines. Marco Cappato, il tesoriere dell'associazione, ha espresso la sua preoccupazione per i ritardi burocratici che costringono le persone a cercare aiuto all'estero. Ha sottolineato che "non deve mai più accadere che una persona che ha diritto a essere aiutata a terminare la propria vita senza soffrire, debba invece essere costretta ad andare come in esilio in un altro paese".

In risposta a casi come quello di Ines, è stata presentata una proposta di legge di iniziativa popolare sulle "procedure e tempi per l'assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 242/2019". La proposta, supportata da oltre 10mila firme autenticate, è attualmente in fase di approfondimento in commissione Sanità, presieduta da Enrico Sostegni (Pd).

Il caso di Ines sottolinea l'importanza di affrontare la questione del suicidio assistito in Italia. Mentre la proposta di legge è un passo nella giusta direzione, è chiaro che sono necessarie ulteriori azioni per garantire che nessuno debba soffrire inutilmente o essere costretto a cercare aiuto all'estero. La lotta per il diritto al suicidio assistito continua.

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